Lo scorso 21 agosto, presso il Centro Pastorale di Mantova, si è svolto un incontro promosso da Caritas diocesana e Servizio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, per porre l’attenzione sulla situazione del popolo afghano. Hanno partecipato i membri di alcune comunità cattoliche e islamiche del territorio, unite di fronte alla drammatica situazione in Afghanistan.
È un primo passo per costruire ponti di vicinanza, dialogo e speranza, un punto di partenza per azioni concrete di fratellanza e accoglienza.
Don Samuele Bignotti, incaricato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ha aperto l’incontro ricordando che «vedere violata la promozione umana ha suscitato in tutti noi il sentimento della compassione, che sola ci apre alla riflessione e all’azione a sostegno della vita degli altri. Siamo cristiani e musulmani capaci di compassione, perché è al centro delle nostre tradizioni religiose. Ci proponiamo quindi di guardare alle vicende di questo periodo con uno sguardo nuovo, che ci fa conoscere gli altri come fratelli e sorelle».
Elena Spagna, del Giardino delle Beghine, associazione culturale che si propone di promuovere le relazioni legate al mondo femminile, ha commentato: «Ciò che abbiamo visto in questi giorni lascia disorientati, c’è bisogno di una riflessione comune per guardare queste vicende senza lasciarsi travolgere e per cercare insieme l’incontro tra le diverse fedi sul territorio».
Amin Kharrat è medico, uno dei primi cittadini siriani arrivato negli anni ’80 in Italia. Da molti anni Amin si impegna per l’integrazione e l’incontro tra popoli e culture diverse. Conosce bene la storia dell’Afghanistan: «Gli afghani hanno sempre desiderato vivere in pace, ma da decenni subiscono una condizione di guerra fortemente influenzata dalle occupazioni straniere. Sono molto preoccupato in particolar modo per i bambini. Penso al rischio che venga trascurata la loro formazione scolastica, che è il primo passo per promuovere la pace».
«L’Afghanistan – ha ricordato Atif Nazir, pakistano, da vent’anni in Italia, impegnato nel centro islamico di Suzzara e nel promuovere l’incontro tra religioni diverse – vive la contraddizione dell’estremismo. L’Islam è una religione di pace, come musulmano non posso accettare che la mia religione diventi strumento per governare e per mantenere il potere finalizzato ai propri interessi»
Maryam Hijab 21 anni è da quattro in Italia: «Lavoro come magazziniere e la sera studio per diventare ragioniera. Sono preoccupata per le donne e le bambine afghane. Attraverso lo studio abbiamo la possibilità di crescere, comprendere e creare una coscienza critica rispetto alle vicende della vita. Una via maestra che non può essere negata alle generazioni future».
«Mi sento di ringraziarvi per il tempo che si siamo dedicati – ha detto Giuseppina Nosè, da anni impegnata nel mondo del sociale –, ho imparato oggi molto più di quanto ho letto e visto in questi giorni. Le opportunità di incontro sono il primo passo per conoscere direttamente la realtà».
Matteo Amati, direttore della Caritas diocesana, ha ricordato che i progetti sostenuti dalla Caritas sono stati interrotti: «Dopo l’arrivo dei talebani l’indicazione è stata quella di lasciare l’Afghanistan. La lontananza e l’impossibilità di poter intervenire direttamente lascia spazio all’impotenza. La sofferenza del popolo afghano, come quella dei molti popoli colpiti dalla guerra, ci stimola a essere costruttori di fraternità nei solchi della nostra quotidianità. La nostra Chiesa è impegnata da molti anni nell’accoglienza di persone che richiedono asilo politico e di famiglie arrivate in Italia grazie ai corridoi umanitari fuggendo dalla guerra. Auspichiamo che questo succeda anche per le famiglie afghane».