Proporre una riflessione attorno al tema della Città – dal Discorso del vescovo Marco Busca fatto in occasione della solennità patronale – vuole essere non un semplice commento, ma vedere la connessione dei problemi di carattere sociale, giustizia e solidarietà.
La situazione politica richiede una permanente capacità di azione concreta attorno a temi che un tempo erano percepiti come testimonianza critica – prepolitica – che oggi si propongono come sostanza del governo di una città, perché hanno a che fare con l’assetto di una casa comune, come indica l’enciclica Laudato si' di Papa Francesco.
La politica deve ascoltare le sfide del nostro tempo e tradurle in pratica, dare un senso della possibilità, perché chi guarda alle realtà possibili non si sgomenta, si impegna a costruire la città. Occuparsi di trasporti, scuola, edilizia, lavoro, produzione industriale e commerciale in termini frammentari non porta da nessuna parte, oggi è opportuno cercare di riunire tutti questi ambiti e di progettare lo sviluppo di una grande città. Gli uomini differiscono per temperamento e il compito di soddisfare le necessità umane richiede diversi tipi di città in differenti ambiti culturali.
La molteplicità dei saperi, la capacità di collaborare sono le condizioni per operare in termini costruttivi.
Il dovere di progettare e fare in una società interconnessa, globalizzata con delle reti di relazioni di comunicazione con il mondo dell’economia, del sistema formativo, dello stato assistenziale crea un sistema dove la libertà costituisce il valore di riferimento con il rischio di cadere nell’individualismo.
Due parole si ripetono nel Discorso del Vescovo. Sostenibilità e sobrietà. Esprimono il concetto di una forma di vita “leggera”, contenuta, aliena da eccessi. Nella Laudato si' è chiaro che “bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori. La scomparsa dell’umiltà, in un essere umano (…) può solo finire col nuocere alla società e all’ambiente. (…) se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male”, corriamo il rischio che nulla è più garantito, scontato.
Non dobbiamo essere ciechi di fronte al carico di dolore e spaesamento che in questi ultimi due mesi viviamo. L’esperienza di una libertà diversa da quella scritta dalle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino – il riferimento è alla guerra in Ucraina – ci pone seri interrogativi.
Le sfide che abbiamo davanti a noi ci impongono di pensare la politica al di fuori del quadro categoriale tradizionale. Si tratta di porre le basi di una “nuova politica” capace di immaginare elementi di “comunanza” che possano essere condivisi in una società che vive una seconda modernità.
Il problema di oggi è progettare il nostro futuro. Andare oltre i meccanismi che hanno sostenuto la società della prosperità a tutti i costi senza porsi limiti.
Gli spazi di “sicurezza” di un tempo oggi vengono meno. La politica irrispettosa di ogni convenzione porta al funambolismo individuale. Educare alla partecipazione sociale e politica è un interrogativo che sia il mondo cattolico che quello laico devono porsi. Amministrare la città è servire l’uomo, è praticare l’esercizio di una politica attenta alla giustizia ed alla carità come valori in “difesa dei diritti di ciascuno”.