Notizie

Vita diocesana

"Aspettiamo il Paradiso proprio perché non è qui"

L'omelia del vescovo Marco Busca alle esequie di mons. Roberto Brunelli

DI Marco Busca
C:\fakepath\don Brunelli.jpg

Duomo di Mantova, 24.11.2022
Lezionario: Fil 3,8-11.20-21; Sal 89; Mt 13,44-52


Quello che il Signore vuole va bene!
Accompagniamo il nostro fratello don Roberto nell’ultimo passaggio verso il Regno. Ripeteva spesso negli ultimi mesi della sua vita a più persone: “Se il Paradiso fosse in terra staremmo bene qui, aspettiamo il Pa-radiso proprio perché non è qui”. Nel mio ultimo incontro presso le cure palliative, don Roberto è stato in-tenso negli sguardi, pronto nel segnarsi con il segno nella Croce, forte nel trattenermi stretta la mano, es-senziale nelle parole: il “grazie” ripetuto più volte e una sola frase che condivido ad alta voce perché è co-me il sigillo sulla vita di un uomo cristiano sacerdote: “Quello che il Signore vuole va bene”. 
Ho scelto per questa liturgia esequiale il brano evangelico delle parabole del Regno. Gesù è intento ad istruire i discepoli sul Regno dei cieli ricorrendo a delle similitudini. Il Regno dei cieli, infatti, rimane un mi-stero che non si può definire perché è incommensurabile, ma non per questo è inesprimibile. Gesù, infat-ti, parla in parabole per accompagnare il suo uditorio alla comprensione attraverso immagini semplici, pre-se dall’esperienza quotidiana familiare a tutti. Don Roberto è stato un uomo di cultura e un magnetico di-vulgatore che rendeva accessibili a molti le verità umane e divine più profonde, lasciandosi ascoltare e leggere.  

Il tesoro nascosto della vocazione sacerdotale
Le parabole del “tesoro nascosto” e della “bella perla” – evocative del valore e della bellezza del Regno di Dio – calzano bene con la sensibilità estetica di don Roberto, ma anzitutto con la sua storia vocazionale. Ai tempi di Gesù era frequente il ritrovamento fortuito di tesori che la gente, obbligata a spostarsi a causa delle frequenti guerre, sotterrava con la speranza di ritrovarli al ritorno a casa, cosa che spesso non avve-niva. Il contadino fortunato non aspetta né sospetta del tesoro, s’imbatte in esso. È evidente il richiamo alla gratuità e alla sorpresa del dono. Il contadino decide di vendere tutto per comprare il campo. Il motivo della decisione è la gioia. Dio ci dà la gioia per motivarci e spingerci a decidere. È la grande passione accesa dal tesoro che rende indifferenti al resto. Non perché tutto perda significato, ma perché i tasselli della vita finalmente trovano il loro senso e il loro posto. Ci si decide per ciò che vale di più: Paolo scopre il Cristo, o meglio è conquistato da Lui, e considera tutto una perdita pur di non restare senza Cristo e guadagnare la sublime conoscenza di Cristo. 
Rintraccio qualcosa di simile nella vocazione di don Roberto. Vocazione “adulta”, che si staglia all’orizzonte dopo la laurea in Lettere e Lingue e letterature straniere e dopo aver lavorato come apprezzato tradutto-re alla Mondadori a Milano, dove si era trasferito con la famiglia da giovane. Mentre lavorava nella vigna dell’editoria, con prospettive di vita e di carriera che si aprivano dinanzi a lui, si è imbattuto nel suo “tesoro nascosto”, la vocazione sacerdotale, ed è passato a coltivare la vigna del Signore.  La gioia della scoperta ha motivato un cambio radicale di vita. Amava ricordare: “non mi sono mai pentito un solo giorno della mia vocazione sacerdotale”. 
Pur di abbracciare il tesoro della vocazione ha saputo relativizzare e rinunciare alle alternative che la vita gli offriva. Tuttavia, del grande bagaglio culturale che si era fatto non è andato perduto nulla. Tutto è stato investito per acquistare ciò che vale davvero. Proprio come nella parabola del trafficante di perle preziose. A differenza della precedente, qui l’accento cade sulla ricerca da parte dell’intenditore che finalmente trova la perla di grande valore. Il regno di Dio non solo accade per grazia, si lascia trovare da chi lo cerca e per questo servono certi “strumenti”, come la perizia del commerciante che sa riconoscere e apprezzare il valore intrinseco della perla migliore. La preparazione e gli strumenti culturali di don Roberto sono stati in-vestiti nel suo impegno per la diffusione del Regno di Dio.


Uomo tradizionale e innovativo 
Per il discepolo, infatti, la gioia di aver trovato il tesoro e la perla si accompagna alla responsabilità. È il sen-so delle altre due parabole del Regno, i cui protagonisti sono lo scriba, che trasmette in modo intelligente e avvincente il vangelo del Regno, e il pescatore che “mette insieme tutto” nella rete gettata in mare. Ge-sù elogia lo scriba che, divenuto discepolo del Regno, assomiglia a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Gli scribi si occupavano della legge di Mosè: ne erano i maggior conosci-tori e la loro interpretazione autorevole era ritenuta legge a sua volta. Per questo lo scriba divenuto di-scepolo di Gesù sa estrarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche: non cancella o abolisce la tradizione, ma la legge alla luce della novità evangelica. 
Diventato sacerdote, don Roberto si è messo seriamente e convintamente a servizio della Chiesa manto-vana come lo scriba saggio che trasmette i tesori della fede con completezza, nel pieno rispetto della tra-dizione e nell’apertura all’interpretazione, per discernere come la promessa di Dio si realizza qui e ora. Le cose antiche si apprezzano andando all’indietro, ma con lo sguardo in avanti, verso l’oggi sempre nuovo di Cristo. La personalità ferma e sicura di don Roberto era caratterizzata da un certo rigore morale e spiritua-le, dall’adesione convinta e feconda ai grandi principi e valori della tradizione cristiana che lui riproponeva con elegante sensibilità e capacità comunicativa moderna.
Lo sforzo di conciliare tradizione e innovazione lo ha caratterizzato anche come docente e scrittore. Come insegnante di materie umanistiche presentava le opere classiche della letteratura e dell’arte ma anche gli autori contemporanei, anche quelli più discussi, per far aprire gli occhi e l’attenzione della Diocesi e della Città al “nuovo”, alle multiformi espressioni della cultura e dell’ingegno artistico in ogni sua forma. La sua cultura non era di per sé “museale”, conservativa. Una buona dose di creatività e vivacità intellettuale nu-triva la sua inesauribile capacità di proposte nuove soprattutto in ordine alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico-culturale della città e del territorio mantovano. Anche la sua prima vocazione di scrittore gli è tornata utile per la missione. Cito, come esempio, il suo impegno a stendere una biografia “moderna” di San Luigi Gonzaga nell’anno celebrativo del IV centenario della morte (1991), dal titolo “Un uomo di nome Luigi”, contenente varie schede e informazioni che avevano lo scopo didattico di poter rendere più avvicinabile e comprensibile la figura di questo giovane santo che la storiografia e persino l'agiografia ave-vano in qualche modo penalizzato.
Fu artefice del cambiamento scolastico del Seminario e per lunghi anni preside del Liceo-ginnasio dello stesso Seminario quando la scuola superiore fu parificata e divenne un Liceo classico privato diocesano aperto alla frequentazione di molti studenti esterni, ai quali ha trasmesso un singolare amore per l’arte come sa fare solo l’insegnante che possiede e ama con passione la sua materia. Generazioni intere di stu-denti mantovani vanno orgogliose di averlo avuto come maestro e, nel tempo, di aver coltivato una fre-quentazione sfociata spesso in vera e propria amicizia, che don Roberto – sebbene dicesse di avere un’indole “eremitica” – sapeva apprezzare e nutrire di tratti di finezza, sensibilità intuitiva, e con vere e proprie attenzioni. 

La sua parrocchia senza confini
Anche l’immagine della rete che porta nella barca pesci di ogni specie si presta a un’interessante applica-zione alla vita di questo nostro fratello sacerdote. Il Regno dei cieli si offre a tutti, il Padre è un pescatore che vorrebbe raccogliere tutti i pesci nella sua rete, nel suo amore desideroso di salvare tutte le vite. La rete aggrega tutti, raccoglie ogni genere di uomini. La Chiesa non può essere una setta elitaria perché falli-rebbe la missione di convocare nel Regno ogni creatura e don Roberto, che non è mai stato parroco, non ha mancato di adempiere la missione sacerdotale negli ambiti di vita e di cultura all’interno dei quali, lungo gli anni, andavano moltiplicandosi gli incontri con studenti e cultori appassionati di belle arti: proprio gli in-contri in queste agorà diventavano occasioni di annuncio. La sua parrocchia sono stati il Museo, l’aula sco-lastica, i pellegrinaggi, senza trascurare il servizio pastorale nella liturgia quotidiana presso le suore di casa Martini, le Messe domenicali in san Clemente, e la costante e generosa disponibilità a prestare aiuto nelle parrocchie, anche lontane dalla città. 
Certamente la memoria viva di don Roberto resterà legata al nostro Museo diocesano di cui è stato per sedici anni l’anima e la spina dorsale. Durante la sua direzione il Museo è stato riallestito, modernizzato ed è cresciuto da ogni punto di vista; sono aumentate le sale espositive ed esponenzialmente le opere espo-ste. Grazie ad una équipe di laici professionisti e di “amici del Museo”, da piccolo museo diocesano di pro-vincia si è passati a una realtà museale apprezzata e conosciuta un po’ ovunque soprattutto per alcune collezioni esclusive. 
L’arte e i percorsi umanistici attraverso la bellezza non erano fine a sé stessi. L’ho sentito più volte para-gonare il Museo a un’aula di catechismo e parlare delle opere d’arte come di una Bibbia a colori. L’arte cri-stiana è testimonianza iconica del mistero di Dio, un veicolo di promozione umana nel senso più profondo, di elevazione dell’anima, di valorizzazione del bello come ricerca e scoperta di Dio e al tempo stesso di quanto è più nobile e “divino” anche nell’uomo. La bellezza come orma e rivelazione del divino nell’umano. Alla presentazione di alcune mostre l’ho sentito descrivere le opere artistiche davanti a un pubblico diremmo “laico”, con maestria e rispetto ma senza tentennamenti per timore di urtare la sensibi-lità di qualcuno quando parlando usava espressioni tipo: la “nostra” fede oppure il “nostro” Signore come fosse pacificamente assodato non solo per lui ma anche per i suoi interlocutori che questa era la verità da accogliere nella sua evidente magnificenza. 

La comunione alle sofferenze di Cristo 
La cattedra più alta di un uomo è il modo in cui soffre. Per un credente il patire ha un valore sacramentale, è una situazione umana abitata da Dio. Il desiderio sommo di san Paolo di conoscere Cristo passa attraver-so la comunione alle sue sofferenze. Questo nostro fratello sacerdote ha convissuto con la malattia con dignità e coraggio per circa dieci anni, senza mai scomporsi e senza mai disperare. Nella prova l’aiuto gli veniva certamente dalla fede nel Signore e dall’impegno a cui non veniva meno neppure nelle giornate più pesanti quando, pur nella difficoltà di parlare, celebrava la Messa, magari scusandosi per qualche pau-sa in più non prevista dal rito. Negli ultimi giorni, pur consapevole delle sue condizioni precarie, stava im-maginando insieme ai collaboratori i prossimi eventi da proporre al museo nel periodo natalizio. Mi confi-dava che occuparsi delle cose da fare lo distraeva dal “pensarsi addosso” e la laboriosità era il suo farmaco dell’anima. Voleva morire “da vivo” e per questo si rifiutava di vestire i panni del malato che ha come uni-co obiettivo curare sé stesso. Apprendiamo la lezione di invecchiare bene perché sorretti da ragioni di vita anche in condizioni diminuite. I limiti non fermano la missione, solo la trasformano. Il primo novembre scorso ci siamo sentiti per telefono e non mi ha nascosto il dolore acuto che lo stava tormentando. Ma il commento è stato questo: “Perché lamentarsi quando milioni di esseri umani stanno male quanto me e più di me. Sono in buona compagnia”.  

Giunto a fine corsa nella Gerusalemme celeste 
“Corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”. Don Roberto è stato un’appassionata guida turistica e ha condotto migliaia di persone alla scoperta delle meraviglie di Manto-va, dell’Italia e del Mondo in collaborazione con l’ufficio pellegrinaggi della Diocesi. La sua città preferita era Gerusalemme, con orgoglio mostrava il suo patentino di guida abilitata per la Città Santa, dove accom-pagnò decine e decine di gruppi. Come tutte le persone intelligenti amava l’ironia e spesso farciva le sue conversazioni con battute argute. Prima di partire in volo per la Terra Santa, ai pellegrini spesso in appren-sione viste le continue “turbolenze” del volo, soleva ripetere: “Io vi garantisco che tra poche ore saremo a Gerusalemme, sarà poi il Signore a decidere se quella terrena o celeste!”. La speranza cristiana ci lascia immaginare don Roberto in una visita alla Gerusalemme celeste, conquistato dalle meraviglie della città santa, le cui mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo, e la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente (cf Ap 21,18.21). 
Giunge al traguardo la vita di un uomo colto, un prete mantovano generoso e disponibile, un uomo es-senziale per sé e capace di organizzare le risorse di cui disponeva per la cultura e per i bisogni dei poveri, un cristiano capace di muoversi nel mondo culturale del nostro tempo e per questo sicuramente apprez-zato come testimone di una Chiesa che sa “contattare” l’uomo di oggi. Ringraziamo l’artista divino per l’opera compiuta nel nostro fratello Roberto sacerdote, che con la sua storia sicuramente interessante si è posto a servizio della Chiesa mantovana, della città e anche della comunità degli uomini, con totalità di de-dizione e di testimonianza del Regno di Dio a cui aspirava giungere. La nostra cittadinanza, infatti, è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo.

Diocesi di Mantova
Diocesi di Mantova