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Crisi delle vocazioni

Non riguarda solo i sacerdoti, ma tutti noi


La crisi delle vocazioni è vistosa. Un processo inarrestabile e costante. Mai come in questi tempi si parla tanto, dentro la Chiesa, di questo tema, specialmente in ordine alla crisi delle vocazioni sacerdotali. 


Una prima risposta è stata quella di riprendere in mano, talvolta in modo superficiale, il tema del laicato, la cui “riscoperta” è stata letta da molti come una necessità, visto il calo del numero dei preti. 

Non pochi osservatori ci hanno resi attenti al rischio che il tema delle vocazioni sacerdotali venisse inteso solo nella versione di una funzione che verrebbe a mancare nel sistema organizzato della struttura ecclesiastica.

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Il seguito di questa lettura è ancora più nefasto, perché porta a considerare i laici come semplici “sostituti” del clero, affidando a molti e molte di loro compiti e funzioni nella logica di una supplenza che, sotto sotto, ci si augura possa un giorno tornare ad avere “l’insegnante di ruolo”. Si avverte che il rischio di sprecare questa crisi, che esiste, sia molto reale.

Il vero rischio è quello di non accorgerci che il tema riguarda un impoverimento complessivo, culturale, ancora prima che ecclesiale, del tema del servizio e della dedicazione della vita per gli altri. 

Tutto concorre a sostenere l’idea che il consumo dell’istante sia il massimo a cui poter aspirare. Ognuno cerca qualche piccola soddisfazione, qua e là, consapevole che il futuro non promette niente di buono, perciò meglio accontentarsi. 

Il nostro tempo sembra volerci abituare a spegnere quei grandi desideri di cui siamo potenzialmente capaci. Ci viene offerto solo qualche divertimento, che possa distrarci, facilmente e individualmente, da questa tristezza di fondo a cui siamo consegnati, sin dal nostro venire al mondo. 

Questo clima culturale è lo stesso che respirano i credenti e in special modo le nuove generazioni. 

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Dinnanzi ad una proposta di dedicazione totale e definitiva come lo sono la vita sacerdotale, matrimoniale o religiosa, non può che scattare il rifiuto, riconoscendo in esse modalità non più praticabili oggi, se non da alcuni, visti tra l’altro anche con qualche sospetto. 

Il tema delle vocazioni ci interroga tutti, credenti e non credenti. Non si riduca la questione a quella del numero dei preti. Rinunciare a proporre il ‘per sempre’ o una vita al servizio degli altri può certamente essere un’opzione, già ampiamente praticata. 

Ci sembra tuttavia che il credente non possa permettersi una tale rinuncia, senza in questo mondo tradire il Vangelo. Il 'per sempre' e il servire, nello stile di Gesù, rimangono una proposta di consistente umanità, non priva certo di fatiche, ma assolutamente capace di riempire di senso la vita. 

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Per questo accompagnare le persone, soprattutto i più giovani, a donare la propria vita in scelte definitive e di donazione sembra potersi ascrivere ad un autentico gesto di amore tra le generazioni. 

La crisi delle vocazioni appare anzitutto come una crisi antropologica, un impoverimento che non è di qualche funzione necessaria al sistema, quanto di un’intera società, destinata a vivere sulle sabbie mobili di un presente senza speranza. 

Educare ed educarci al “per sempre” e al “per gli altri”, non sarà mai tempo perso. 

Diocesi di Mantova
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