Temi e Opinioni

Giovani e pandemia

Educare in tempo d'emergenza

La riflessione di una psicologa psicoterapeuta


Educare significa accompagnare i giovani della comunità ad acquisire le conoscenze e a sviluppare le competenze che servono a “muoversi nel mondo”. Da sempre gli esseri umani hanno accompagnato i nuovi nati alla vita adulta e autonoma. Le modalità di trasmissione del sapere culturale, i riti di passaggio, le figure di riferimento, i ruoli sociali si sono evoluti nel corso del tempo. 


Oggi la nostra società prevede dei luoghi naturali di educazione, come la Famiglia, e dei luoghi istituzionali, come la Scuola. 

Le modalità, gli strumenti e gli stili educativi si modificano nel corso del tempo come risultato dell’evoluzione culturale e sociale. Generalmente i cambiamenti culturali sono lenti e i contesti educanti evolvono di pari passo a essi. 

Se pensiamo alla famiglia, ad esempio, abbiamo assistito a un’evoluzione dei ruoli genitoriali e delle modalità di cura. Il ruolo del padre e della madre di oggi sono molto diversi rispetto a quelli della generazione precedente. Una volta avremmo definito “mammo” un uomo dedito alla cura dei figli, mentre le nuove famiglie considerano più naturale un coinvolgimento attivo del padre nelle prime cure dei neonati.

La storia, tuttavia, ci insegna che vi sono delle rivoluzioni culturali portatrici di una discontinuità radicale. 

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Basti pensare alla diffusione dei telefoni cellulari e di Internet. Questi strumenti hanno inciso profondamente sulla nostra esistenza: pensiamo, a titolo esemplificativo, all’accesso e alla diffusione di informazioni. Ciascuno digitando su un motore di ricerca con il proprio dispositivo può trovare immediatamente risposta a una domanda. Quando noi adulti abbiamo cominciato a utilizzare questi strumenti, non li conoscevamo a fondo, non ne percepivamo risorse e limiti in modo chiaro e non avevamo indicazioni dalle scienze. 

Tuttavia abbiamo dovuto gestire questi nuovi mezzi nella nostra quotidianità, partendo dalla scelta se far accedere i nostri figli al loro uso.

L’emergenza sanitaria ha provocato un’altra discontinuità globale: ciò che prima era scontato, all’improvviso si è modificato. 

Pensiamo a un’agenzia educativa fondamentale come la scuola, che ha chiuso da un giorno all’altro, all’impossibilità di mantenere le relazioni sociali, all’affrontare una malattia senza certezze, al sistema sanitario in crisi. Improvvisamente ciò che fino al giorno prima era demonizzato, il giorno dopo è divenuto lo strumento d’elezione per molti ambiti della nostra vita tra i quali le relazioni e l’educazione.

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La scuola è diventata DAD e i luoghi “immateriali” dei social o dei servizi di comunicazione gli unici luoghi possibili di relazione. 

Che impatto ha questo sulla nostra vita e sul nostro ruolo educativo? 

Come genitori o educatori siamo consapevoli di quanto il nostro supporto sia fondamentale perché i bambini e i ragazzi affrontino le situazioni problematiche della quotidianità. Sul piano educativo forniamo quegli strumenti emotivi e cognitivi per gestire le relazioni e le attività della vita, basandoci sulla nostra esperienza di persone e/o sulle nostre competenze professionali. 

Tuttavia la situazione pandemica ha delle caratteristiche peculiari: il cambiamento è repentino e riguarda ogni persona e ogni contesto sociale. 

Noi “grandi” o “educatori” non conosciamo le caratteristiche e l’evoluzione della situazione e siamo noi stessi messi a dura prova dalla situazione di emergenza. La crisi sanitaria diviene crisi del nostro sistema di vita.

Questo si traduce in un uso di risorse personali, emotive e non solo, e sociali. 

A ogni livello, la comunità è chiamata a elaborare strategie per fronteggiare la crisi e ad attuarle più velocemente possibile per limitare i danni e tornare a una situazione di equilibrio, di stabilità, di prevedibilità. 

La crisi ci richiede di utilizzare le nostre energie per affrontare il cambiamento e, nel medesimo tempo, di supportare coloro che hanno meno strumenti per affrontarlo.

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Oggi cominciamo ad avere alcuni dati che ci descrivono l’impatto che la pandemia ha avuto sulla nostra società. Una ricerca (Bambini e lockdown. La parola ai genitori. Università degli Studi di Milano Bicocca) svolta su più di tremila famiglie della Lombardia, ci ha permesso di conoscere il vissuto e l’esperienza dei genitori e dei bambini durante il lockdown.

L’indagine evidenzia una “sostanziale tenuta” da parte delle famiglie nell’accettare le limitazioni imposte. Nei bambini sono stati riscontrati una maggiore irritabilità, reazioni di rabbia, un aumento dei capricci e rilevanti alterazioni nella quotidianità come l’alimentazione e il sonno. In entrambe le fasce d’età si segnalano anche cambiamenti positivi. I genitori rilevano un miglioramento delle relazioni familiari, con i loro bambini e tra i fratelli. 

Secondo il nuovo rapporto Unicef “La Condizione dell’infanzia nel mondo - Nella mia mente: promuovere, tutelare e sostenere la salute mentale dei bambini e dei giovani”, a livello globale, almeno un bambino su sette è stato direttamente colpito dai lockdown, mentre più di 1,6 miliardi di bambini hanno perso parte della loro istruzione

Da questi dati appare evidente che, ora più che mai, è necessario convogliare le energie di tutti gli attori coinvolti nella crescita di bambini e ragazzi nel supportarli a implementare quelle competenze che favoriscono il benessere mentale e nel sostenere programmi di prevenzione e i servizi a loro dedicati.

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Diocesi di Mantova
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