Carità e giustizia
“Emergenza freddo” è la formula con la quale si è soliti designare la condizione di disagio delle persone che nei mesi freddi, non disponendo di un alloggio stabile, sicuro e caldo, sono costrette a dormire esposte al rischio del rigore invernale.
È una formula particolarmente ambigua, dal momento che alle nostre latitudini è assai improbabile parlare del freddo come di un’emergenza.
La grave emarginazione adulta è una condizione tipicamente urbana, che si concentra prevalentemente nelle aree metropolitane e, in misura minore, nei territori di provincia come il nostro. Colpisce prevalentemente uomini, nella maggior parte dei casi stranieri (oltre il 75%).
I dati rilevati dall’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse diocesano indicano che circa l’80% delle situazioni di grave emarginazione della provincia si concentrano nel comune capoluogo, a causa della presenza di gran parte dei servizi (accoglienza, sanitari, trasporti…).
Il sistema di accoglienza cittadino nei mesi invernali viene potenziato con l’aggiunta di ulteriori posti a quelli normalmente disponibili. È stato inoltre istituito un coordinamento tra i servizi (Comune, Aspef, servizi ecclesiali, realtà del privato sociale) che ha permesso di ampliare risposte e interventi rispetto al passato. Il continuo monitoraggio delle situazioni più critiche consente di evitare pericolose “zone franche” in cui le situazioni di disagio estremo non vengano adeguatamente rilevate e seguite.
Di povertà estrema si può morire.
Nelle situazioni più gravi e radicate, quelle che da più tempo sono esposte alle severe condizioni della vita per strada, scattano processi di “abbandono” e di “ripiegamento del sé” che fanno compiere al soggetto un percorso involutivo che comporta una significativa riduzione della capacità di autoprotezione, che può condurre a conseguenze estreme: quando un senza dimora dorme lontano da una sorgente luminosa e da una fonte di calore è spesso, purtroppo, prossimo alla morte.
Diventa pertanto essenziale riuscire ad offrire un aggancio relazionale per tentare di costruire percorsi di aiuto che nel più breve tempo possibile possano invertire questa spirale, che attrae tante persone verso forme di esclusione sempre più acute ed intense.
Nell’ultimo anno, complice la pandemia, il sistema di accoglienza è stato messo a dura prova nella capacità di dare risposte alle diverse situazioni di emergenza che si sono verificate, e che la situazione sanitaria ha ampliato e diversificato, per garantire l’accesso in condizioni di sicurezza rispetto al diffondersi del contagio. In aggiunta a tutto questo la crisi internazionale, determinatasi con l’abbandono repentino delle truppe Usa dal Pakistan e il collasso del sistema statuale con il cambio di regime, ha attivato un flusso nuovo di profughi in fuga da quel paese. Ciò ha determinato un progressivo esodo verso i nostri territori di afgani in cerca di accoglienza, desiderosi di attivare le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato.
C.A.S.A. San Simone, assieme alle istituzioni del Comune e alle altre realtà di solidarietà attive su questo fronte, ha risposto attraverso un primo intervento sui bisogni primari (pasti, docce e cambio abiti, fornitura di sacchi a pelo per coloro che non trovavano immediatamente accoglienza), l’attivazione delle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato, l’inserimento nei circuiti di accoglienza, il pagamento dei tamponi necessari per far scattare l’ingresso nelle strutture.
Non tutte le situazioni hanno ottenuto una immediata ospitalità, ma questo coordinamento stretto ha consentito, riducendo il più possibile la permanenza in strada, di trovare soluzioni per evitare il rischio di morti per assideramento e nell’abbandono. A questo s’è aggiunta la preziosa collaborazione di privati cittadini e di alcune parrocchie.