La festa della Repubblica, giunta a 76 compleanni, ha passato ormai tre generazioni, se consideriamo 25 anni come un arco temporale indicativo per il passaggio generazionale.
È dunque inevitabile un riferimento alla memoria del passato. La scelta repubblicana chiuse un passato tra i più fallimentari e vergognosi della storia italiana: dittatura, “avventure” coloniali imbarazzanti, leggi razziali e infine la tragica scelta bellica sono una triste sequenza che non dovrebbe ammettere nessun se e nessun ma.
Fa riflettere, in positivo, quanto avvenne dopo che si chiuse quella pagina della nostra storia. L’Italia che nei primi decenni post-bellici ripartì dal referendum pro-Repubblica e dalla Costituente è l’Italia che realizzò, pur con grandi tensioni sociali ed ideologiche, un progresso a dir poco straordinario. A partire dalla rapidissima ricostruzione economica che ci portò ad essere studiati e ammirati in tutto il mondo. Ancor più decisiva fu la costruzione di un sistema di garanzie democratiche dopo le rovine portate dalla dittatura e dalla guerra.
Ma l’elemento che forse più di tutti ha costituito l’architrave di quella grandiosa rinascita è stato il contemperare lo sviluppo economico con la crescita complessiva dell’equità: riforma agraria, garanzie sindacali, ampliamento della rete dei servizi sanitari e sociali e istruzione sempre più estesa sono alcuni degli esempi da citare in tal senso. È davvero singolare come un simile prodigio sociale sia avvenuto in un quadro segnato, come detto, da pesantissime divisioni ideologiche e politiche, certamente molto più serie e laceranti rispetto al “balletto” che caratterizza il dibattito pubblico attuale.
Eppure... eppure si seppe ricostruire in positivo un sentimento di appartenenza di popolo, riuscendo a scrivere pagine che si sono rivelate le migliori della nostra storia nazionale.
Probabilmente la scintilla che ha fatto da catalizzatore a quel processo è stato un comune sentire che aveva la forza di andare oltre le già citate divisioni dell’epoca. Era l’ansia di libertà, la voglia di ricostruire, il senso di condividere una comune storia, il percepire l’idea che insieme si può costruire di più e meglio rispetto all’essere tanti individualismi tra di loro separati o addirittura ostili. Ed è proprio l’individualismo esasperato (o il corporativismo che ne è la proiezione sociale e collettiva) che ha causato il tramonto di quella stagione fertile e costruttiva e consegnato il Paese, negli ultimi decenni, ad uno stato di stagnazione complessiva.
È così che la festa della Repubblica si apre ad essere non solo una rievocazione del nostro migliore passato della ricostruzione post-bellica o una lamentazione sul nostro recente passato decisamente meno entusiasmante. I valori più profondi che tale ricorrenza porta con sé possono infatti essere un grande viatico per camminare verso il nostro futuro e per costruirlo in modo migliore rispetto alle mediocrità che spesso caratterizzano la nostra attualità.
Sapremo far tesoro di questo viatico che la storia ci ha lasciato in eredità? La risposta non è scritta nei cieli da qualche capricciosa volontà degli dei dell’Olimpo. La risposta dobbiamo scriverla noi con il nostro senso di responsabilità.