Chi l’ha detto che di carità si deve occupare solo chi ha del tempo libero, come i pensionati, oppure chi ha la fortuna di non lavorare e quindi “è giusto” che dedichi tempo agli altri?
Da qualche anno nei Centri d’Ascolto della nostra diocesi stiamo sperimentando un nuovo concetto di fare carità, strettamente connesso a quello che una persona vuole essere o diventare, che coinvolge i giovani, che di cose da fare ne hanno sempre tante e non hanno certo il problema di occupare il tempo, ma a un certo punto del loro percorso di crescita scelgono di diventare volontari Caritas.
Coinvolgere i giovani nei nostri servizi è una priorità per innumerevoli motivi: la smisurata fiducia nelle persone e la mancanza di pregiudizi (dovuta in parte alla poca esperienza di vita e in parte al fatto di crescere in una società che lotta per infrangere i pregiudizi più stantii) ci ricordano ogni giorno che il povero è la persona che ha perso la strada, è il nostro fratello che fa degli errori, è chi ha perso la fiducia nella vita. L’instancabilità e l’entusiasmo che li caratterizza sono contagiosi per tutti gli altri volontari, soprattutto quelli anziani, che attingono alla loro linfa e si rigenerano, restituendo esperienza, perle di saggezza e racconti di vita che spesso finiscono in risate, oltre a solidificare legami e affetti.
L’Anno di Volontariato Sociale ha fatto entrare nelle nostre realtà quasi 40 ragazzi dai 18 ai 28 anni per un’esperienza di servizio di un anno, che comprende oltre all’attività diretta nei Centri d’Ascolto anche momenti di formazione e condivisione durante l’anno.
Sono moltissimi anche quelli che chiedono di fare servizio senza far parte del progetto AVS, ma tramite alternanza scuola-lavoro, scout, parrocchie...
I profili dei nostri ragazzi sono i più svariati: giovani diplomati che devono capire quale strada scegliere per il futuro, figli delle famiglie che aiutiamo (e ciò rappresenta uno strumento per favorire il percorso verso l’autonomia e l’integrazione), ragazzi con svantaggi fisici o mentali, che faticano a trovare il loro posto nella società e hanno bisogno di un ambiente protetto dove far crescere autostima e sviluppare capacità, universitari che tra un esame e l’altro scelgono di rendersi utili.
A loro diciamo sempre che il tipo di volontariato che hanno scelto non è per tutti: avere a che fare con la povertà più estrema (facendo servizio nelle mense, negli empori, nell’assistenza a persone in precarietà abitativa e spesso emotiva) può essere disturbante, difficile, a volte traumatico, ma loro riescono con spontaneità a ricevere dei grazie - non così frequenti nel nostro ambiente - e a rendere leggeri quelli che possono essere momenti imbarazzanti (per i nostri utenti venire a chiedere aiuto non è facile, qualunque sia il motivo che li ha portati da noi).
Il motivo penso sia soprattutto uno: in un mondo fatto di realtà virtuale, di amicizie da accumulare sui social, di ricerca di un’identità difficile da modellare, noi offriamo la vita vera, quella dove non serve essere popolare né troppo bello, e dove non conta quanto perfetto sia il tuo corpo. In Caritas ti distingui grazie alla pazienza, alla compassione, alla tolleranza, all’elasticità mentale, al buonumore e alla capacità di sorridere e di far sorridere, e di metterti a disposizione di chi ha bisogno del tuo aiuto o ha qualcosa da insegnarti, che può essere chiunque incontri sulla tua strada.
È un ottimo allenamento per il futuro e per le esperienze lavorative e di vita che questi giovani dovranno affrontare.