Progetto catechistico diocesano
Proseguendo nell’approfondimento dei pilastri su cui si sta riorganizzando il progetto catechistico diocesano, dopo aver parlato della comunità cristiana come soggetto della catechesi, passiamo ora a mettere a fuoco un altro pilastro: la famiglia.
La famiglia e la casa rappresentano il contesto vitale pratico, composto da persone e spazi, in cui il cammino di fede prende forma e si incarna. Già da parecchi anni si è cercato di coinvolgere i genitori dei bambini che partecipano al catechismo attraverso modalità differenti: incontri mensili dedicati agli adulti, catechesi parallela in cui si propongono ai genitori le tematiche che si affrontano con i bambini, appuntamenti in prossimità della celebrazione dei sacramenti, momenti di ritiro, uscite… Tutti tentativi lodevoli per far sentire anche i genitori parte attiva nel cammino di vita cristiana dei loro figli, ma che richiedono uno spostamento dalla casa alla parrocchia.
Intravedo tuttavia, in questi tentativi di raggiungere i genitori, almeno tre limiti o rischi collegati tra loro che riporto di seguito.
1) Gli incontri che vengono proposti non hanno i genitori come primi destinatari del cammino di fede. È il percorso dei figli che in qualche modo fa da traino e motiva l’attivazione anche di alcuni incontri rivolti ai genitori. Evidentemente questo comporta che non sempre si è ‘attrezzati’ per organizzare questi tipi di momenti formativi.
2) Essendo questi percorsi molto spesso collegati e dipendenti dal catechismo dei bambini circa i tempi e i contenuti, rischiano di non intercettare il reale bisogno del genitore adulto.
3) I percorsi attivati per i genitori richiedono uno spostamento dalla casa alla parrocchia, e un loro coinvolgimento in quanto oggetto di catechesi e non soggetto reale e attivo nel percorso di educazione dei figli.
Sto consapevolmente generalizzando ed enfatizzando la situazione per mostrarne i rischi e i limiti. Nel nuovo progetto catechistico, pur conservando e ripensando momenti di catechesi specifici per e con i genitori, si vorrebbe provare a capovolgere l’intenzione e l’impostazione di fondo che semplificando potrebbe essere questa: spostare l’attenzione dalla parrocchia alla casa e accompagnare i genitori ad essere non solo destinatari ma protagonisti e attori principali del cammino di fede. Per dirla con le parole del catecheta Salvatore Currò: “si tratta di ri-situare il Vangelo nei luoghi che gli sono consoni perché riprenda suono; si tratta anche di cercare la sintonia su un piano più corporeo e affettivo che cognitivo” tipico dell’esperienza famigliare sia pure quella più disastrata.
Ecco perché nel nuovo progetto verrà chiesto ai genitori che sono disponibili, di aprire la propria casa per accogliere dei bambini (5-6 circa) e vivere in semplicità alcuni momenti di incontro. Non saranno lasciati soli in questo servizio, potranno contare sia sull’aiuto degli altri genitori, sia su figure di catechisti-tutor che faranno da supporto, incontrandoli, fornendo materiali per attività e mantenendo i collegamenti tra le altre famiglie. Il percorso, come già detto, non si esaurirà nel momento in famiglia, ma prevederà anche incontri comunitari in parrocchia e la celebrazione eucaristica domenicale.
Ai genitori host (che ospitano) non sono chieste competenze particolari, o qualifiche specifiche, semplicemente la disponibilità e la generosità di aprire la propria casa e di dedicare un po’ del loro tempo e della loro vita ad altri bambini, dilatando quel senso di fede implicita (e qualche volta esplicita) iscritta dentro l’amore famigliare. Occorre qui fare una conversione copernicana, ancora una volta da tempo annunciata ma non sempre attuata: liberarci dalla precomprensione che nell’esperienza di fede l’intelligenza detenga una posizione di primato assoluto. Anche i vari tentativi di rinnovamento della catechesi, già avviati in molte parti, sono rimasti intrappolati dentro il registro della comprensione. Come scrive il catecheta Salvatore Currò, in famiglia ci si allena a delle pratiche anche senza sempre doverne cogliere il senso “Si impara a pregare, si fa il segno di croce, si imparano formule tradizionali, per affetto o per abitudine prima che per consapevolezza.
Si impara ad andare a Messa sull’onda dell’imparare delle buone pratiche, non perché se ne comprende il senso. Si impara un contatto con Gesù Cristo nel mezzo delle gioie e dei dolori della vita, nel mezzo dei dilemmi, nel mezzo delle debolezze e delle ricchezze della vita. Ci si lega a Lui, corporalmente, affettivamente, per abitudine.. Il senso della fede prende corpo nel cuore (o nella carne) della vita.