Temi e Opinioni

Natale 2021

Il peccato, inevitabile escrescenza dell’ego

Una riflessione di don Flavio Lazzarin dal Brasile


Ancora una volta siamo alle prese con la ripetitività cattolica dell’anno liturgico. Ancora una volta, sfidati a trovare un senso alla ripetizione, oltre la noia che puó provocare il già visto a chi è malato di modernità ed è sempre alla ricerca di nuove occasioni e nuove emozioni. 


Ancora una volta, chiamati a scoprire il segreto della Parola e dei Sacramenti ripetuti in stagioni diverse della vita personale e collettiva. Infatti, ciò che non dovrebbe mai essere ripetitivo è il nostro vivere costellato di paure, desideri, dubbi, incertezze, domande, squilibri, vizi e limiti, ricerca perenne del senso, sforzo di capire e accogliere gli altri, impegno a leggere e interpretare le vicende del mondo… insomma, sono proprio i cambiamenti del nostro esistere quotidiano che ci espongono alla sorpresa di Parole e Riti antichi, ripetuti a volte, anche nelle nostre Chiese, come riesumazioni di cadaveri, e che, invece, hanno il potere di illuminare le oscurità della nostra vita e del nostro tempo. 

In questo tempo di Avvento, due momenti mi hanno interpellato in una nuova maniera. Probabilmente, anche in questo caso, il nuovo è propiziato dalla percezione dei limiti che, nonostante l’età, io rivelo nel quotidiano, nei miei rapporti con le persone, familiari, amici, conoscenti. Scoprire che sono inevitabilmente peccatore consiste oggi per me  nel constatare che non sono disposto a rinunciare ad abitudini, non accetto di perdere ed esigo, mi impongo, non sono attento e rispettoso della sacralità dell’Altro, non ascolto, non comprendo e non so trovare cammini di riconciliazione e perdono. E forse anche molto altro che non so.

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Certamente, in questo cammino che ci porta al Natale, la rilettura di molti testi di Simone Weil – che sto studiando di nuovo - mi ha condotto a ridefinire il peccato come l’inevitabile escrescenza dell’ego. 

Il  primo momento che mi ha colpito è costituito dal deserto

Lo Spirito convoca Giovanni Battista nel deserto e certamente l’esegesi a cui sono abituato pone una questione fondamentale: il deserto è periferia, ben lontana dal Tempio e dai Palazzi. Come ha detto, lo scorso 5 dicembre, Papa Francesco: "La redenzione non inizia a Gerusalemme, ad Atene o a Roma, ma nel deserto". Ma qualcosa di nuovo balena nei pensieri: deserto è anche fisica assenza dell’intervento umano; è mancanza; è privazione; è vuoto, un vuoto salutare che può lasciar spazio allo Spirito; un vuoto in cui l'io e il noi hanno sempre meno parole. 

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Un vuoto in cui lo Spirito potrebbe dire e ispirare profezie. Ricordo poi questa scommessa del deserto che si ripete nella storia dell’Occidente cristiano: i Padri e le Madri della Tebaide, gli anacoreti che si dissociano dal tradimento dei martiri perpetrato dalla Chiesa costantiniana, e poi gli eremiti sconosciuti fino a Tamanrasset di Charles de Foucauld, che già aveva cercato risposte nel non detto, né dicibile, del nascondimento di Gesù a Nazareth, prima della vita pubblica.

E, inevitabilmente, non posso dimenticare il Benvenuti nel deserto del reale di Slavoj Žižek, che ci parla delle rimosse rovine e macerie della civilizzazione capitalista. Un nuovo deserto da svelare e frequentare con Giovanni Battista e Gesù di Nazareth. Il deserto di una umanità fallita, violenta e genocida. 

Il secondo momento è il sì di Maria di Nazareth all’arcangelo Gabriele: balena nuovamente nei pensieri la certezza dell’intimo di Maria, senza le parole dell'io, senza peccato, deserto assoluto, piena di Grazia, umanità in cui lo Spirito Santo può danzare e cantare.


Che questo Natale confermi la nostra fede nella materna misericordia di Dio. Con l’augurio che riusciamo a creare un poco di deserto nel nostro intimo, per poter riconoscere Gesù negli abbandonati e oppressi nel deserto del reale. 

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Diocesi di Mantova
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