Il maldestro profeta Giona, salvatore suo malgrado della nemica Ninive, viene mandato a profetare che la città sarebbe stata distrutta. I cultori della lingua ebraica osservano però che il termine può indicare sia distruzione sia ricostruzione, quasi a dire che non esiste un unico modo per leggere i fatti che accadono.
Ed è con questo sguardo che, a distanza di dieci anni, abbiamo voluto leggere quanto accaduto nella nostra diocesi.
Chi scrive è realmente convinto che per le nostre comunità cristiane quei terribili giorni, che non dimenticheremo certo, abbiano portato anche qualcosa di nuovo. A partire dalla scelta, maturata sin dai primi momenti, di restituire le chiese alle rispettive comunità. Fu una scelta coraggiosa, in quel momento. Fu una scelta discutibile, dissero alcuni. Alcune diocesi scelsero vie differenti. Da noi venne presa questa strada. Poi, nel corso degli anni, scoprivamo l’immensa gioia delle comunità nel momento delle riaperture dei luoghi di culto.
Chi ha vissuto qualche riapertura delle chiese non può non ricordare le lacrime di gioia di moltissime persone. Diversi parroci possono testimoniare che alla riapertura c’erano tutti, credenti e non credenti, perché la chiesa è luogo di tutti.
Moltissimi parroci raccontano di come le comunità locali, in tutte le loro diverse espressioni - politiche, associative, economiche - si siano effettivamente coinvolte in una rete inimmaginabile sino a qualche tempo prima. La ricostruzione delle chiese terremotate si è rivelata portatrice di nuove collaborazioni, di sinergie con gli Enti regionali e territoriali, di nuove amicizie, nate con lo scopo di restituire luoghi di senso e di speranza per quelle terre ferite.
Il terremoto ci ha “costretti” a reimparare a giocare in squadra, a coltivare la paziente arte del progettare insieme, a sentirci sempre più responsabili di una fiducia, anche economica, che gli Enti - dallo Stato alla Regione - ci riservavano con convinzione e generosità.
Prima tra tutti la Regione Lombardia, che attraverso il governatore e i suoi più stretti collaboratori ci è stata accanto sin dalle prime ore, attraverso l’eccellente lavoro della struttura commissariale creata ad hoc.
È innegabile che oggi le chiese mantovane siano più belle di prima.
Adulte perché hanno riscoperto la bellezza e la forza dei territori. Adulte perché hanno maturato la consapevolezza che non è possibile fare sempre tutto da sole. Adulte perché hanno reimparato la grammatica, spesso faticosa e lenta, della burocrazia.
La ricostruzione è stata quindi una grandissima palestra di relazioni, un complesso gioco di squadra che ha trasformato dei numeri di telefono in persone in carne ed ossa. Dei funzionari in volti, dei tecnici in storie di uomini e donne con i quali fare un pezzo di strada assieme. La ricostruzione è stata l’occasione per praticare l’ospitalità, anzitutto del cuore, verso coloro con i quali non avremmo mai pensato di dover collaborare.
Fino al punto che una domenica di dieci anni fa, in una parrocchia sul grande fiume, veniva celebrato un battesimo nella sezione del locale Circolo Arci. Nemmeno la fantasia di Guareschi lo avrebbe mai immaginato.