Il Magistero del vescovo

8 gennaio 2023

​Nel battesimo: Cieli aperti su Gesù e sui nostri bambini

​Omelia del vescovo Marco nella Festa del Battesimo del Signore

Redazione
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[Lezionario: Is 42,1-4.6-7; At 10,34-38; Mt 3,13-17]


Il battesimo conclude il tempo liturgico del Natale 

A Natale il Figlio assume due nomi, contenuti nell’annuncio dell’angelo a Maria: Emmanuele, che significa “Dio-con-noi”, e Gesù che significa “Dio salva” o meglio “porta al largo” da uno spazio ristretto a uno spazio più aperto e libero. In questo episodio del battesimo al Giordano, che è il primo atto pubblico di Gesù, lui realizza questi due nomi: si mette in fila coi peccatori, si mescola con loro, e lo stare lì in mezzo, quasi un “farsi peccato in loro favore” (cfr. 2Cor 5,21), è l’unica condizione per poterli salvare cioè portare fuori dal peccato.

Gesù viene dal Battista per farsi battezzare, cioè “farsi immergere”: il Figlio si immerge in un’umanità portatrice del peccato. Il “Puro” sprofonda nel fango sporco dell’umanità impura. Alcuni inni antichi dicono che Dio aveva perso l’uomo, Adamo, che era come il diadema della sua corona scivolato negli abissi e per recuperarlo il Figlio, come un abile tuffatore, si è lanciato dai cieli nelle profondità della terra. Immergersi nelle acque del Giordano non è stato un gesto di complicità con i peccatori e nemmeno un gesto penitenziale: Gesù non ha bisogno di penitenza, è l’Agnello immacolato che toglie il peccato, ma lo può togliere solo perché lo prende su di sé, in un gesto di solidarietà, come dice il profeta Isaia: “fu annoverato fra i malfattori, perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i trasgressori” (cfr. Is 53,12). 

Pur essendo totalmente innocente e immune dal peccato, Gesù se lo accolla e ne subisce le conseguenze: prende su di sé la morte spirituale dell’umanità con la quale diventa un tutt’uno. Fa suo il gemito dell’uomo rimasto orfano a causa del peccato che lo ha separato da Dio. Gemito che sulla croce Gesù interpreta e trasforma in grido di salvezza: Dio mio perché mi hai abbandonato. 

È comprensibile la prima reazione di Giovanni il Battista quando si trova davanti Gesù che vuol farsi battezzare da lui: resiste e vuole impedire al Santo di sottoporsi a questo lavacro per gli immondi.
Gesù chiede a Giovanni di abbandonare lo schema della giustizia che ha in mente, in base al quale la santità di Dio è incompatibile con l’impurità e il peccatore va punito ed eliminato. Gesù chiede al Battista di lasciar fare, solo così si adempirà la giustizia, quella del Padre: Dio è giusto perché rende giusto il peccatore. La sua volontà è di far sentire il peccatore amato e accolto, perché solo a partire da questa esperienza fondamentale avrà la forza di poter cambiare vita. Per gli uomini religiosi di tutti i tempi è facile cadere nel tranello di concepire e presentare Dio come un giustiziere, mentre è l’Agnello ad essere giustiziato dai peccatori nelle cui mani è consegnato, ristabilendo così il diritto sulla terra e ripristinando l’alleanza del popolo con Dio.  


Al Giordano Gesù diventa il Cristo: la sua umanità è impregnata di Spirito Santo

Al Giordano, Gesù è manifestato come il Cristo, cioè l’unto di Spirito Santo, il Messia (in ebraico Mašīaḥ significa “unto”), Colui che è rivestito della potenza dello Spirito per poter adempiere la giustizia e servire il disegno del Padre. Il battesimo, infatti, dà inizio del ministero messianico di Gesù. In Israele si ungevano i re per essere autorizzati e fortificati nel ruolo di condottieri e di liberatori del popolo. Essere unti comportava di avere un 'potere' per guidare il popolo e una posizione preminente secondo l’orgoglio nazionalisti-co degli ebrei. 
Gesù è un Messia a rovescio. La sua potenza è quella del servo di Jahvé che ha due caratteristiche: l’umiltà del mite (“non griderà in piazza, non alzerà il tono, non spezzerà la canna incrinata, non spegnerà il lucignolo fumigante”) e la fermezza dell’uomo paziente (“non si lascerà andare, non si abbatterà”). 
Dio è il servitore dell’umanità. La sua potenza non è quella di servirsi delle sue creature, ma di servirle. L'Apocalisse ci mostra Gesù vincitore sovrapponendo due simboli apparentemente in contrasto: il leone della tribù di Giuda che coincide con l’agnello sgozzato (cfr. Ap 5,5-6).  

Il servizio più alto che Gesù ha fatto per l’umanità è quello di averci “aperto i cieli” così che cielo e terra di nuovo comunicano e dialogo. L’Antico Testamento culmina nel grido: “Ah, se tu squarciassi i cieli e scendessi” (Is 63,19) più volte riproposto nella liturgia di Avvento. Appena Gesù uscì dall’acqua (la traduzione migliore sarebbe “salì” dall’acqua) si aprirono i cieli per lui e vide lo Spirito di Dio venire sopra di lui. Lo Spiri-to unge l’umanità di Gesù e attraverso di lui la nostra umanità partecipa dell’unzione dello Spirito. L’effetto di questa santificazione è il nostro “salire” verso il cielo aperto, un’immagine che evoca la ritrovata comunione con il Padre. 
È la buona notizia dell’incarnazione: grazie al dono dello Spirito l’umanità peccatrice riprende il suo moto ascensionale verso Dio, torna da dove è venuta, trova nuovamente ospitalità nel seno del Padre. Lo conferma la voce proveniente dal cielo, che fa sintesi di tre versetti dell’antico testamento: il Salmo 2: “Tu sei mio figlio”; l’episodio di Genesi 22 in cui il padre Abramo usa per definire il figlio Isacco l’aggettivo “amato” (agapetos); e infine la profezia del servo sofferente di Isaia: “Ecco il mio eletto in cui mi compiaccio”. Po-che parole con le quali il Padre conferma l’identità di Gesù: il suo Figlio, l’amato, in cui ha riposto il suo compiacimento. 


Il battesimo al Giordano contiene il programma messianico di Gesù

Il segno forte del battesimo al Giordano è posto da Gesù come programma della sua missione. Ciò che segue è coerente con l’inizio, come leggiamo nella sintesi lapidaria di san Pietro: “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (2^ lettura).
La prima volta che Gesù è passato nella nostra vita è stato il nostro battesimo.
Nel battesimo siamo stati immersi nella vita del Figlio e unti del suo Spirito. Ciò che è più intimo di Gesù è passato a noi: il cristiano è “copia” di Cristo, un altro Cristo, un figlio adottivo nell’unico Figlio. In quel dono di grazia, la voce del Padre ha pronunciato su ciascuno di noi quelle parole: “Tu se il mio figlio amato, in te mio compiaccio”. Che tradotto in espressioni immediate suona così: tu mi piaci, ho posto in te il mio diletto, sei la mia gioia. Ci pensiamo? Noi siamo la felicità di Dio, il Padre sussulta di gioia per ogni nascita nella carne e ancor di più per ogni rinascita battesimale!


Perché i cristiani battezzano i loro figli da piccoli? 

Negli ultimi decenni anche tra i genitori cristiani è invalsa la tendenza a rinviare il battesimo dei figli in no-me della loro scelta libera e consapevole, quando saranno più grandi. Alle loro obiezioni si potrebbe applicare la frase detta da Gesù al Battista: “lascia fare per ora”, oppure quelle dette agli apostoli: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio” (Mc 10,14). I genitori vorrebbero sempre il meglio per i figli: cibo, vestiti, accudimento, affetti, medicine, educazione. Non privare i fanciulli della grazia di Dio significa preoccuparsi anche del loro benessere spirituale perché possano crescere non solo in età e sapienza, ma anche nella grazia (cfr. Lc 2,52). 

Ma ecco una prima e semplicistica obiezione: imporre ai figli una religione non è togliere loro la libertà di decidere se essere cristiani o meno? A dire il vero la vita stessa è anticipazione: a nessuno figlio viene chiesto il permesso di metterlo al mondo. La vita è un dono che ci viene dato in anticipo, prima che lo possiamo sperimentare e capire. Proprio qui entra in gioco la responsabilità dei genitori nel concepire i figli: è giusto trasmettere la vita senza violare la libertà soltanto se si è in grado di offrire al figlio che nasce qualcosa di più della semplice esistenza biologica (esposta a fatiche, sofferenze, destinata a esaurirsi), soltanto se insieme alla vita che si affaccia a un futuro indefinibile si sa proporre anche un senso: una forza del bene che sia più forte della morte, più potente di tutte le eventuali minacce o degli orrori imprevedibili a cui il bambino potrà essere esposto e che possono trasformare la vita biologica da benedizione in maledizione. Questo argomento potrebbe far riflettere anche quelle coppie, anche di giovanissimi, che reputano non valga la pena far nascere figli per poi condannarli a un mondo di tribolazioni, senza orizzonti, senza gioia. Il dono della vita umana si giustifica soltanto se possiamo dare in anticipo insieme al dono della vita anche la promessa di un senso stabile, di un futuro che, anche nelle crisi che verranno (e non possiamo anticipare), dia valore alla vita, cosicché valga la pena vivere, essere creature piuttosto che non essere mai nati.

E veniamo all’altra obiezione: di questi significati spirituali i neonati non sono consapevoli. Come possono comprendere l’amore di Dio? Non confondiamo la realtà della vita con la sua intelligibilità: forse un bimbo capisce l’amore di sua madre e di suo padre? Si, perché lo riceve, lo sperimenta, poi nel tempo lo interiorizza e un giorno giungerà a comprenderlo, magari solo da adulto. Molte cose della vita, specie l’amore, sono un fatto da vivere prima che da indagare. L’infanzia è una stagione della vita con una spiccata intuizione religiosa: l’anima dei bimbi tocca il mistero di Dio. Non dobbiamo ridurre l’esperienza spirituale alla sfera della consapevolezza psicologica. È curioso che nella seconda lettura, l’apostolo Pietro (che è stato tanto tempo insieme a Gesù, ma che ben poco aveva capito di Lui) confessi con semplicità: “sto rendendomi conto”, cioè comincio a capire solo adesso qualcosa del Signore.

C’è un ultimo argomento a favore del battesimo dei bambini appena nati: i genitori li ammirano come un miracolo, li immaginano e li desiderano come “perfetti”. Ogni creatura, invece, porta nel più profondo di sé il segno di un’umanità decaduta e peccatrice e proprio attraverso il battesimo le sarà donato di innestarsi in Cristo e trovare in Lui il suo nuovo spazio di esistenza, in cui il suo io può crescere libero dai condizionamenti del male e attivare relazioni di amore nella Chiesa e nel mondo. In tal senso il battesimo è anche un atto di guarigione della libertà incrinata al male, che per la potenza dello Spirito è riorientata al bene come aspirazione primaria e prevalente. Può accadere che il malato guarito da una disfunzione del corpo si ribelli verso coloro che amorevolmente lo hanno curato e messo in condizioni di riprendere al meglio la salute? Può anche accadere che qualcuno, travisando il significato autentico del battesimo, senta come peso opprimente una religione imposta. 
Ma la prospettiva dei figli di genitori cristiani è ben altra: crescono in un ambiente familiare e comunitario che, per quanto possibile, tramette una cultura della vita coerente con il dono battesimale e sono iniziati a cogliere in quel dono l’azione amorevole del Cristo medico, maestro, amico, salvatore. 


Il battesimo di Gesù: sintesi del cristianesimo

Completiamo oggi il ciclo natalizio della manifestazione del Figlio di Dio nella carne. Il vangelo odierno ci ha offerto una splendida sintesi del cristianesimo:
- parla della Trinità: la voce del Padre, la colomba dello Spirito, il Figlio amato
- parla del Figlio Gesù, che diventa fratello dei peccatori per innalzarli di nuovo al Padre
- parla di me, figlio adottivo per il battesimo: “Tu sei mio figlio, l’amato, il preferito
- parla del cosmo: le acque, simbolo della creazione, dopo che Gesù vi si è immerso sono salvifiche, la materia non è più nemica dello spirito.  


Battezzato, riconosci e gioisci della tua dignità!

Diocesi di Mantova
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