Maestri cattolici
Questi anni vissuti nella pandemia hanno dato origine alla decisione del lockdown che ci ha chiusi in casa, che ha chiuso le scuole e le attività commerciali, ci ha impedito le relazioni, ci ha rinserrati nelle sbarre del nostro io. Il fondamento di questo blocco sta nella decisione politica di adeguarsi alle disposizioni della Commissione Tecnica nazionale, che è formata da tecnici puri senza la presenza di un filosofo, di un poeta, di un cittadino qualunque. Sinora gli esiti negativi che si sono riscontrati sia sul piano sanitario che su quello economico sono stati giustificati dal there is no alternative, non c’è altro da fare. L’attenzione nostra però si accende proprio su questa impossibilità. Il fatto che la violazione dei diritti costituzionali sia lasciata ad una commissione tecnico-scientifica nazionale dà origine molti dubbi. Ad esempio quello della decisione di chiudere le scuole senza por mano al problema del flusso degli studenti sui mezzi pubblici o, sempre nello specifico, nell’aver lasciato intatto il modello della didattica a distanza, cioè nel non aver introdotto modalità diverse dalla lezione espositiva.
Questo blocco al sistema democratico si pone con evidenza. Fino a qualche tempo fa imperava il pensiero debole, del relativismo, incapace di dare o proporre valori condivisi al mondo della scuola ed alle prospettive dell’educazione. Ora ci troviamo di fronte ad un blocco inamovibile, che ci porta al pensiero unico: non ci sono altre scelte.
Una forza indiscutibile assunta dal potere decisionale è stata affidata ad un solo settore del mondo culturale e civile, in sostanza alla ricerca scientifica, ma non è necessario disturbare Popper per dire che ogni teoria scientifica è solo un’ipotesi, che vale fino a quando non subentrerà un’altra teoria che resisterà alla prova dell’errore. Nella scienza non c’è stabilità, perché si basa su dati che possono essere percepiti ed interpretati in maniera totalmente diversa. E a ciò si aggiunga il fatto che i dati ci sono dati da una tecnologia sempre più raffinata, che storicamente è considerata più potente dell’intelligenza e della libertà dell’uomo e ne guida il cammino.
Nella scuola non possiamo trasmettere ai nostri figli il motto che le cose non possono essere modificate, perché la sovranità del pensiero consiste anche nel poter essere divergente, creativo. Qui si colloca il fine dell’educazione che può individuare valori, scelte operative che rispondono ad un modo diverso dell’essere delle cose. Educare significa essere pronti all’innovazione.
Il tutto ci fa concludere che la sapienza, cioè l’amore per il sapere, va oltre la percezione delle cose nei loro particolari, va oltre la fisica, per cercare l’essere più profondo delle cose, delle situazioni di vita che vanno oltre l’esperimento scientifico.
Ogni disciplina scolastica, ogni materia di insegnamento specialistico obbedisce ad una legge formale che è propria della chimica, della biologia, delle scienze, della lingua; in tal modo acquisisce modalità proprie di funzionare, assume un linguaggio proprio, ma per questo motivo non può diventare affermazione assoluta, perché si deve confrontare con altre discipline che le stanno vicine e i cui confini sono superabili. Senza una visione interdisciplinare, senza superare i confini di ogni scienza non si coglie l’unità del sapere, l’unità della verità.
Per questi motivi non si può consegnare al mondo tecnico-scientifico il governo di un popolo, come si sta facendo in questo momento. È il messaggio più negativo che possiamo dare ai nostri alunni, non solo, ma anche al nostro paese imprigionato nel lockdown.
Il pericolo che questo atteggiamento possa essere interpretato come il negazionismo del Covid e della lunga teoria dei morti che lo seguono, non sta nel negare la ferocia del virus, ma nell’affermare che non esistono scelte diverse; questo è un messaggio che non può essere accolto né dalla scuola, né dalla politica, perché può trasformarsi in un atteggiamento autoritario.