Omelie del vescovo
[Lezionario: Nm 6, 22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21]
Le nostre “notti”
Questa notte saluteremo il nuovo anno. Qualcosa di nuovo viene dal cuore di questo tempo particolare che è la notte. Voglio riflettere con voi su come i credenti vivono i “tempi notturni”, cioè i tempi di crisi personale e i crepuscoli della civiltà che sono da attraversare in vista del nuovo giorno che ci attende.
Il simbolismo della notte è ambivalente nella Bibbia; in alcuni testi, soprattutto dell’A.T., leggiamo che allo sparire della luce del giorno fanno la loro comparsa creature e situazioni temibili: gli animali nocivi (cf Sal 104,20), la peste tenebrosa (cf Sal 91,6), gli uomini che odiano la luce, adulteri, ladri o assassini (cf Gb 24, 13,17), oppure dolori e angosce (cf Gb 29,19; Sal 6,7; Sal 42,40) e non c’è altro da fare che pregare Colui che creò la notte (cf Gen 1,5) affinché protegga gli uomini contro i terrori notturni (cf Sal 91,5).
Qui la notte evoca una situazione interiore di prova e di attesa dell’aiuto di Dio e non è esistito uomo sulla terra a cui sia stata risparmiata questa esperienza. Ciascuno di noi ha le sue notti: del dubbio, della ribellione, della desolazione, dell’angoscia, della solitudine. E la preghiera nella notte diventa gemito, grido a Dio che ci rimane presente. Anche per questo i libri sapienziali, soprattutto i Salmi, descrivono il credente che vigila durante la notte: «come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio» (Sal 42,2); «penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto» (Sal 63,7-8).
Le “notti” di Dio
Ma la Bibbia racconta che nella notte accadono anche gli interventi decisivi di Dio per la salvezza del suo popolo. A partire dalla notte di liberazione degli Ebrei dalla schiavitù di Egitto sino all’Incarnazione del Verbo di Dio che si è compiuta nella notte, come evoca il libro della Sapienza: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, si lanciò in quella terra di sterminio» (18,14-15). Nel vangelo che abbiamo ascoltato, è nella notte del presepio di Betlemme che i pastori accolgono l’annuncio degli angeli, la loro ricerca culmina nell’adorazione del Salvatore che è nato, nella lode a Dio e nella testimonianza agli altri uomini di ciò che hanno visto. Così pure i Magi, nella notte, vedono spuntare la stella che è il segno da seguire nel loro itinerario di conversione dal culto pagano degli astri alla confessione della fede nel vero Dio, che è il Bambino Gesù.
Anche Gesù ha affrontato le sue notti: notti di ritiro nella solitudine orante in compagnia del Padre, notti di digiuno (cf Mt 4,2), notte di tempesta in cui soccorre i discepoli camminando sul mare (cf Mt 14,25). Le tenebre si addensano particolarmente nell’ora della passione: «La notte in cui fu tradito» egli istituì l’Eucaristia (1Cor 11,23) e anche Giuda prese il suo boccone, ma per uscire subito fuori. E sempre Giovanni commenta, in modo drammatico: «Ed era notte» (13,30). Giuda, uscendo, se ne va dalla luce verso il buio, entra nella notte, afferrato dal «potere delle tenebre» (Lc 22,53; cf Gv 3,19). Non solo per il traditore è notte, ma per tutti gli apostoli Gesù è diventato motivo di scandalo (cf Mt 26,31) e Pietro in quella notte di rinnegamento vive il suo battesimo nelle lacrime del pentimento (cf Lc 22,62; Mt 26,34). Nell’ora della morte sulla Croce, le tenebre calano su tutta la terra e mezzogiorno diventa come mezzanotte (cf Mt 27,45).
Ma è soprattutto nella notte di Pasqua che diventa sottile la dialettica tra la notte e il giorno. Non c’è una sostituzione, ma una vera e propria successione: il giorno non prende il posto della notte come qualcosa di totalmente slegato, il giorno si alza dal cuore della notte, la risurrezione proviene dal buio della tomba e, come scrive l’evangelista Giovanni «di mattino, quando era ancora buio» (20,1). È dal cuore dalle tenebre che inizia a risplendere la luce nuova (cf 2Cor 4,6). Nel diradarsi del buio notturno, «all’alba del primo giorno della settimana», sfolgora lo splendore dell’angelo (cf Mt 28,3; Lc 24,4) ad annunziare il trionfo della vita e della luce sulle tenebre.
Siamo figli del giorno!
Ora chi è battezzato nella Pasqua di Gesù non si trova più nella notte perché, nella pienezza dei tempi, il Figlio ci ha donato lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà (cf anche Rm 8,15). San Paolo dice infatti: «noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (1Ts 5,5), cioè non siamo più schiavi delle tenebre e della paura. Il fulgore della risurrezione risplende nel fondo del cuore dei cristiani che sono «figli della luce» (Ef 5,8). Cristo risorto ha visitato i nostri sepolcri e dall’interno delle nostre notti ha fatto risplendere il Sole della nuova creazione: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14). I battezzati sono esseri “illuminati”: Cristo li ha liberati «dal potere delle tenebre» (Col 1,13) perché non abbiano più «vani pensieri», né siano «accecati nella loro mente» (cf Ef 4,17-18), ma riflettano sul loro volto la gloria stessa di Cristo per essere trasformati «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). Si realizza la benedizione che Dio affida ad Aronne per il suo popolo: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia» (Nm 6,25).
La notte è luminosa come il giorno
Sarebbe dunque un errore macroscopico interpretare la storia umana solo come un regno di tenebre sempre più fitte. Cristo è già venuto a visitarci dall’alto come Sole che sorge (cf Lc 1,78) e nessuna notte del male potrà soffocare la sua luce, solo oscurarlo in fasi di eclissi che in alcuni periodi sembrano prevalere sulla luce, ma senza vincerla.
Come vive il credente in questa storia, che è una mescolanza di giorno e notte? Come tutti gli uomini, per ora, si trova ancora «nella notte», ma questa notte «avanza» verso il giorno vicinissimo che vi metterà fine (Rm 13,12). La fede nel Risorto lo pone in una condizione di vita dominata dalla luce del Regno: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Si realizzano per il cristiano le parole del salmista: «Nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno» (Sal 139,12). Per il battezzato già non c’è più notte, la sua notte è luminosa come il giorno. Vive nell’attesa dell’alba quando spunterà definitivamente il giorno del Signore. Non sappiamo quando il Signore apparirà nella sua gloria, ma sappiamo che il suo giorno spunterà nel bel mezzo della notte. Cristo-sposo verrà nel mezzo della notte (cf Mt 25,6); come le vergini sagge della parabola, la Chiesa-sposa lo attende vigilante: «Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore» (Cant 5,2). Nella sua attesa, la comunità dei credenti rimane in una tensione permanente: non cessa di pensare a lui giorno e notte, imitando gli eletti del cielo (cf Ap 7,15) che, giorno e notte, proclamano le lodi divine. Nel suo zelo per il Signore, l’apostolo Paolo, giorno e notte, lavora (cf 1Ts 2,9; 2Ts 3,8), esorta (cf At 20,1) e prega (cf 1Ts 3,10). Come in cielo così in terra, i discepoli del Signore anticipano il giorno senza tramonto in cui «non ci sarà più notte» (cf Ap 21,25; 22,5).
Cristo è la stella del mattino
Le tenebre pesano sull’anima, specie quando le prove si protraggono, si susseguono, una apre la porta all’altra, così che per lunghi periodi gli spiriti delle singole persone, oppure di intere generazioni, sono appesantiti da tempi lunghi di luce diminuita, orizzonti accorciati, poca visione, rarefazione delle speranze.
Nel cuore della notte bisogna tornare a guardar le stelle, ma senza ingenuità superficiale e consolatoria e, soprattutto, con una guida sicura che quasi ne indichi la mappa: san Pietro esorta i cristiani a rimanere aggrappati alle Sacre Scritture, che sono come «lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino» (2Pt 1,19). Così, nelle tenebre, il cristiano si lascia orientare dalla fede che deriva dall’ascolto delle Scritture. Con la Parola di Dio in mano e nel cuore riusciamo a scrutare nelle pagine più nere della storia alcune “schegge di risurrezione anticipata”.
Nell'astrologia antica la Stella del mattino è spesso identificata con Sirio e, a motivo della sua bellezza, anche con Venere. È la stella più luminosa del firmamento, che sorge prima del levar del sole ed era ritenuta l’annunciatrice del nuovo giorno e della luce, della vita stessa. Ma per noi è Cristo la luce che annuncia il finire delle tenebre. L’Apocalisse definisce Gesù «la stella radiosa del mattino» (22,16) e la liturgia pasquale della veglia riprende poeticamente questa bella immagine: Cristo risorto come «stella del mattino, «stella che non conosce tramonto» e «che fa risplendere sugli uomini la sua luce serena» (Exsultet).
Eppure è ancora notte
E ancora facciamo i conti con alcune notti tipiche dei tempi in cui siamo chiamati a vivere. L’anno che chiudiamo ci ha fatto entrare nella notte buia di una guerra inumana, con gravi ripercussioni economiche che si trascineranno per alcuni anni innescando preoccupanti crisi di futuro per i più giovani; ma, nella notte terribile della violenza e della morte si sono accese luci di solidarietà, preghiera per la pace, azioni per promuovere la cultura della pace.
Le tenebre della notte invadono non solo il mondo, agiscono anche all’interno della Chiesa. Proprio in queste ore preghiamo e ricordiamo con cuore grato il pontificato di Papa Benedetto XVI e sappiamo quanto abbia avuto parole ferme e chiare contro alcuni mali che portano l’acqua del mondo dentro la barca di Pietro: le divisioni e le opposizioni tra diverse correnti; la troppa preoccupazione della Chiesa per sé stessa mentre essa è tutta dipendente e relativa a Dio, è mediazione del suo mistero per farlo conoscere e incontrare; la mondanizzazione delle strutture ecclesiali e la “sporcizia” degli scandali. Il teologo Ratzinger, aveva una visione lungimirante della Chiesa e, sin dagli anni ’60, ne immaginava il futuro con numeri più ridotti e minor visibilità, ma con una energia più profetica e rafforzata nella fede, nell’annuncio evangelico, nell’esperienza di fraternità tra i suoi membri. Queste erano alcune delle luci che pensava potessero spuntare in una sorta di trapasso “pasquale” dal buio alla luce, cioè da una società con molti segni e tradizione cristiani (e qualche segno di opposizione) a una società laica o pagana con qualche segno luminoso di vangelo. Nel primo anno del cammino sinodale in Italia mezzo milione di persone hanno formato i 50.000 gruppi sinodali: sono segni di speranza, piccole luci che accennano il sorgere di un volto di chiesa missionaria sempre più viva nelle case e tra la gente, casa di fraternità nella fede e nell’amicizia tra cristiani capaci di condividere una lettura credente del momento storico.
«Sentinella quanto resta della notte?» (Is 21,11)
È normale, per noi come per il profeta Isaia, capire quanta attesa ci resta per godere poi della luce in pieno giorno; la Messa di fine anno, con il canto del Te Deum è all’insegna della lode e della speranza cristiana. Non facciamo un bilancio di quante notti e quanti giorni abbiamo vissuto, se in questo anno hanno prevalso più le notti che i giorni; vi invito piuttosto a trovare nelle vostre notti personali e comunitarie il brillare della stella del Mattino.
Concludo con un “augurio speranzoso” per il nuovo anno citando Tommaso Moro, che la Chiesa cattolica (con la Chiesa anglicana) venera come santo: umanista, scrittore e politico inglese vissuto tra il XV e XVI secolo, autore di “Utopia”, ex Lord Cancelliere condannato a morte perché si oppose al Re Enrico VIII che disconosceva il primato del Papa. Tommaso Moro, pur nella sua travagliata vicenda umana, è un testimone dell’ottimismo cristiano, che è espressione della virtù teologale della speranza. Egli sosteneva che “qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”. Riuscì persino a scherzare con il boia che era pronto a mozzargli la testa.
Cito uno stralcio della famosa preghiera per il buon umore, attribuita a lui, scritta in carcere, quando dalla persona che più amava, la figlia Margherita, seppe che sarebbe stato ucciso:
“Signore, dammi un po’ di sole, un po’ di lavoro e un po’ di allegria… Dammi un modo di essere che ignori la noia, le lamentele e i sospiri. Non permettere che mi preoccupi troppo per quella cosa imbarazzante che sono io. Signore, dammi la dose di umorismo sufficiente per trovare la felicità in questa vita ed essere utile agli altri. Sulle mie labbra ci sia sempre una canzone, una poesia o una storia per distrarmi. Insegnami a comprendere le sofferenze e a non vedervi una maledizione. Concedimi di avere buonsenso, perché ne ho un gran bisogno (…) Amen.
Omelia del 1 gennaio 2023