Il vescovo Marco propone, nel suo Discorso alla Città del 18 marzo scorso, una riflessione comune sulla sostenibilità che deve essere alimentata dalla sobrietà.
Sostenibilità è un termine che sentiamo spesso in relazione all'interazione tra uomo e ambiente e alla necessaria opera di ripristino di quest’ultimo dopo che è stato devastato dall'ingordigia e noncuranza dell’uomo.
Per sobrietà intendiamo moderazione, misura nell'assecondare i propri istinti naturali come ad esempio il rifiuto del lusso, dell'eccesso e dell'esagerazione, quest’ultima assai difficile oggi da ottemperare. La sobrietà viene indicata, nel Nuovo Testamento, come “moderazione” e nell’Antico Testamento era indicata come “temperanza” (“Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri”). Ricordo che da piccolo a catechismo mi insegnavano la Temperanza come una delle 4 virtù cardinali; oggi la si indica come sobrietà e, forse, fornisce un maggiore significato a quello che dovrebbe essere uno dei comportamenti del vivere quotidiano di noi esseri umani.
Ho discusso recentemente la mia tesi parlando di resilienza che, da più parti, viene interpretata come la proprietà delle persone che riescono a contrastare e superare situazioni critiche che la vita può riservare. La resilienza, a mio parere, è fatta di imperturbabilità, adattamento, esperienza, conoscenza, educazione, spirito libero e, anche, di sobrietà; quindi una persona sobria ha qualità che oggi molti considerano superate.
L’invito del vescovo Marco di raggiungere gli obiettivi di miglioramento dello status attuale del pianeta così compromesso dall’uomo tramite la sobrietà sembra ricordare la “decrescita felice” proposta a suo tempo da Latouche, che teorizzava una possibile risposta sostenibile e alternativa rispetto all’attuale sistema produttivo. La decrescita come obiettivo di sviluppare un modello economico che prenda spunto dalla resilienza, di cui troviamo esempi in natura con la capacità, di fronte a certe crisi, di non soccombere, anzi di rinnovarsi.
Resiliente è per Latouche il piccolo artigianato, che sopravvive fin dai tempi del neolitico, resilienti sono le imprese agricole a conduzione familiare; si aggiunge il sema della perseveranza e un’idea di futuro e di benessere solidali.
Proprio quello che invita a perseguire il nostro vescovo mettendo in piedi quel “cantiere” in cui attrezzature e ponteggi devono essere da ausilio all’uomo per costruire o ricostruire il mondo in cui viviamo.
Sono anche le parole della presidente Von der Leyen, che ha parlato di Rinascimento quando ha aperto i lavori dello Stato dell’Unione a Firenze nel maggio 2021 indicando in Firenze la città ideale per questa ripartenza, ricordando che proprio lì era nato il Rinascimento, dopo le pandemie; lì erano nate le arti e le scienze che poi hanno coinvolto l’intera Europa.
L’obiettivo di raggiungere la sostenibilità del continente europeo nel 2050 deve divenire imperativo per noi tutti dopo che, nel febbraio scorso, l’art 9 della Costituzione è stato rinnovato con l’aggiunta che l’ambiente deve essere protetto anche per le generazioni future.
E come potremo raggiungere questi obiettivi se continueremo ad allungare le mani su tutto ciò che ci piace ritenendolo nostro e di nessun altro?
Dovremo imparare a praticare comportamenti sobri e morigerati, a rifiutare l’esagerazione e il lusso educando fin da piccoli i nostri figli imprimendo loro un carattere “resiliente”, in grado di manifestare apprezzamento per le cose semplici, per l’ambiente, per gli altri. Sobrietà non è sinonimo di povertà o di conformazione a taluni atteggiamenti; è invece capacità di discernere e apprezzare ciò che Dio ci ha dato, di curare quel giardino dato in gestione all’uomo e che l’uomo ha maltrattato e abusato.
La sobrietà è anche spirito di adattamento: mi torna alla mente L’evoluzione della specie di Darwin, che nel 1859 teorizzava che le specie che sarebbero nel tempo sopravvissute sono quelle che sanno meglio adattarsi alle nuove situazioni, ai nuovi ambienti e, non certo, come molti hanno interpretato, i più forti (vedi cosa è successo ai dinosauri). E in natura troviamo due chiari esempi di adattabilità: l’acqua e le piante.
L’acqua è, a mio parere, l’elemento che contiene in sé il massimo dell’adattamento: diviene vapore, nuvola, pioggia, neve e ghiaccio ma rimane, in fondo, acqua. E l’acqua oltre che riuscire ad adattarsi a tutti gli ambienti è anche forte, anzi fortissima; basta guardare come scava nel tempo, come riesce a vincere materiali che sembrano essere indistruttibili.
Altro elemento naturale resiliente e che dimostra avere un grande spirito di adattamento è il mondo vegetale. Quando voi tagliate l’erba del vostro giardino la tagliate quasi per intero, ma lei ricresce più bella e forte. Provate a pensare se a noi uomini o animali dovessero togliere parti del nostro corpo o la nostra libertà, la nostra salute: saremmo come le piante?
Ecco che dobbiamo divenire esseri che sanno superare gli ostacoli, che sanno adattarsi alle nuove esigenze, ai nuovi precetti indispensabili per raggiungere obbiettivi oramai necessari e impellenti.
Allora cominciamo a costruire quel “cantiere”, usiamo gli attrezzi più congeniali, educhiamo i nostri piccoli a essere perseveranti, sobri e ad apprezzare il bello e il buono imparando a relazionarci con gli altri e con la natura come un dono di Dio.