Bisogna avere passato i quarant’anni per ricordarsi della signorina Rottenmeier, la governante della casa dove Heidi si recò per fare compagnia ad una bimba costretta in carrozzina. Era una presenza fredda ed ossessiva la cui funzione era quella di imporre regole di comportamento rigide, con lo scopo di rendere la vita più sicura e più facile (a suo dire) alla bambina malata e alla sua amica Heidi, abituata invece alla libertà dei giochi e degli affetti nei boschi e sulla montagna.
Ebbene, quella figura di cerbero del “controllo”, che nel racconto animato della televisione si chiamava signorina Rottenmeier, ora si chiama T.I.N.A. e da un anno e mezzo sta svolgendo la medesima funzione nel nostro Paese prostrato dalla pandemia. Anche noi, come la pastorella Heidi, eravamo liberi di correre nei “prati e nei “boschi” della civiltà tecnologica: di lavorare, di giocare, di incontrarci, fare sport, ascoltare musica, andare a teatro, fare feste, ballare, amoreggiare, consumare… Poi, improvvisamente, abbiamo dovuto rinchiuderci in casa, dove una governante ossessiva ha cominciato a vietarci tutte le cose che facevamo per vivere. L’hanno chiamata T.I.N.A. quella terribile figura: in realtà non è il nome di una persona (anche se, con la scusa dei Dpcm, noi l’abbiamo identificata con il nostro Presidente del Consiglio), bensì l’acronimo di una espressione inglese che recita: There Is No Alternative; ovvero: non c’è alternativa.
Con questo slogan i nostri governanti ci hanno tolto lentamente, ma progressivamente, ogni possibilità di vita che non fosse quella di rinchiudersi nella solitudine e nel silenzio, rotto soltanto dalle ossessive minacce racchiuse nelle tabelle coi numeri dei contagiati, dei malati e dei morti di ogni giorno… e nei controlli delle forze dell’ordine, scatenate dal potere a perseguire i nuovi “untori”, per circa 500 giorni ormai.
Vorrei invitare i lettori a fare con me un piccolo viaggio dentro la “logica” di questa “regola delle regole” e, soprattutto, vorrei invitare chi per mestiere fa l’educatore a cogliere la disumanità profonda e la pessima funzione formativa che svolge una simile giustificazione con cui il potere giustifica i suoi ossessivi ordini. Perché, purtroppo, T.I.N.A. non solo esprime, ma mette in pratica la repressione di qualsivoglia forma di libertà, oltre a privare ogni persona degli elementi essenziali della convivenza civile.
Il percorso attraverso il quale si giunge a proclamare l’ineluttabilità di T.I.N.A. è tipico della cultura del secolo passato: caduta la possibilità di affermare qualsiasi verità (anche le fedi in tal senso hanno mostrato la loro debolezza), è rimasta solo l’ancora di salvezza della conoscenza scientifica, che, se non dice il vero, almeno è in grado di affermare con “certezza” ciò che “sperimentalmente” appare incontrovertibile e condiviso. Ma c’è di più: il novecento è stato il secolo in cui si è celebrata la più potente alleanza che mai sia stata pattuita: quella tra la scienza, la tecnologia e la politica. Finalmente il potere non aveva più bisogno né di dio, né della natura per affermarsi, ma semplicemente della forza che gli derivava dalle affermazioni scientifiche e dalle macchine tecnologiche da esse prodotte, che solo pochi “specialisti” controllavano e che, quindi, potevano essere usate come “persuasori occulti”, ma potenti, delle masse… Così, lentamente, ma inesorabilmente, le ragioni della politica sono passate dal dire: “è così perché lo dico io, che ne ho il potere”, all’espressione: “lo dice la scienza, che è competente in questo campo, a noi non resta che eseguire”. Da questa transizione affiora e si staglia con sempre maggiore solennità la figura dell’inesorabile forza dell’espressione non c’e’ alternativa (T.I.N.A., appunto): espressione che indica l’impossibilità da parte dell’uomo di decidere ciò che il destino ha già deciso per lui e, ad un tempo, scagiona chi ha la responsabilità di guidare gli uomini dal peso di dover prendere decisioni (decidere significa scegliere tra diverse possibilità), perché… non ci sono alternative alla possibilità unica che il fato e i suoi corifei (la scienza e la tecnica) ci indicano.
Così siamo stati governati in questi 500 giorni di pandemia, così i responsabili si sono lavati le mani (come Pilato) in nome del “nostro bene”, così ci hanno sospeso la vita, dicendo che l’avremmo ripresa al termine della sciagura.
Come e dove è avvenuta la firma del trattato di alleanza fra scienza tecnica e politica? Nelle scuole e nelle Accademie… ecco perché invito gli educatori a riflettere in maniera particolare sulla figura di T.I.N.A.. Che tipo di razionalità viene presentata ai bambini prima, agli adolescenti poi e persino ai giovani nelle Università? Quale forma devono avere la conoscenza ed il sapere per essere ospitati nei curricoli dei diversi cicli formativi?
Cari insegnanti, se ci pensate bene, essi devono godere di queste quattro proprietà:
1. devono essere “stabili”, cioè ben consolidati nella tradizione culturale. Il “nuovo” deve diventare “vecchio” per poter aspirare ad entrare nei corsi di formazione della scuola (gli esempi sono centinaia… basti pensare a quanto ha fatto il ministro Berlinguer perché si arrivasse ad insegnare anche la storia del secondo ‘900… ed in buona parte non ci è riuscito!);
2. devono essere “specialistici”, ovvero ben separati gli uni dagli altri, in maniera più raffinata si dice che devono essere “epistemiologicamente fondati” e, siccome ogni disciplina scientifica ha un suo apparato concettuale ed una sua metodologia di indagine, ogni forma di sapere deve essere tenuta ben distinta dalle altre (la versione didattica delle “idee chiare e distinte” di Cartesio? o non, più semplicemente, che ogni disciplina rappresenta una serie di cattedre-posti di lavoro, che, se si mescolano - assi, ambiti, transdiscipline…- diminuiscono?);
3. devono essere “fondati”, vale a dire devono dipendere da asserti paradigmatici inamovibili (o quasi), tali, cioè, da generare sicurezza e certezza nelle giovani menti di chi apprende. Non c’è niente di più diseducativo che insegnare criticità ed incertezza, secondo questa “pedagogia”; pensate che soltanto a metà degli anni ’80 del secolo scorso è stato introdotto nella scuola lo studio delle matematiche dell’incerto (statistica e probabilità), e non è neppure detto che poi siano effettivamente praticate nella didattica d’aula! Nascono così i sistemi deduttivi che fondano tutte le discipline: sono le loro grammatiche e le loro sintassi… quelle che servono a far sì che i docenti possano segnare gli errori, e dare i voti;
4. devono essere “razionali”, di quella razionalità che rappresenta il pensiero unico dall’illuminismo in poi (meglio: da Cartesio in poi!). Essa si sostanzia di “rigore”, inteso come coerenza con la logica classica (quella che ritiene la comprensione del mondo possibile solo mediante gli strumenti dell’intelletto); e di “esclusività” nel senso che soltanto gli esseri razionali possono cogliere la verità del mondo e degli uomini; chi frequenta le vie della creatività, della irrazionalità, della divergenza (della “mano sinistra” della mente) o è malato (matto?) o è condannato alla disperazione di chi non troverà mai il significato vero delle cose. Sempre per non trascinare il lettore lontano dall’oggetto di cui stiamo parlando: invito gli insegnanti a riflettere sul ruolo e l’importanza che (non) vengono dati alle espressioni artistiche e creative nella pratica quotidiana dei processi di apprendimento scolastico, rivolte ai loro alunni.
Ma qualche dubbio sull’opportunità di attenersi a questi principi (senza alternativa) circolava tra noi, comuni mortali, ed ora comincia a circolare tra i sostenitori del “pensiero forte” di ciò che appariva ineluttabile: noi abbiamo tolto dai balconi quei ridicoli drappi con scritto “andrà tutto bene” (o si sono scoloriti da soli!) e loro (i politici e gli scienziati) cominciano a dire ossessivamente che “niente sarà più come prima”.
Ma non fatevi ingannare, vogliono solo dire che sarà ancora come dirà la governante T.I.N.A.: non c’è alternativa!
Con una variante, temo, già a suo tempo preconizzata dal nostro più grande filosofo contemporaneo che risponde al nome di Emanuele Severino: lentamente, ma inesorabilmente, la tecnica si sostituirà alla politica, fingendo di servirla, e noi saremo chiamati a cercare (finalmente!) delle alternative allo status quo, in cui credevamo di poterci riposare.