Maestri cattolici
Il sottotitolo di questo contributo fa riferimento a due tipologie di pandemia: l’una nella scuola, l’altra della scuola. La prima, emergenza virale, è penetrata nel mondo scolastico (e non solo) con passo invadente e minaccioso, ne ha sconvolto l’organizzazione e la didattica, ha separato spesso traumaticamente le scuole dalle famiglie, scardinandone l’alleanza maturata tra incomprensioni e conflitti.
La scuola vive e soffre anche una sua propria pandemia, ovvero una crisi endemica e strutturale che da diversi decenni l’attraversa in molteplici direzioni, tanto che il capitolo dell’istruzione anziché serbatoio di potenzialità e di prospettive si è desolatamente configurato come grumo di problemi irrisolti o impostati male. La scuola del futuro, da lungo tempo auspicata e immaginata, non dev’essere un traguardo sempre inseguito: essa vuole esserci e realizzarsi “ora, subito, adesso”.
L’odierno panorama nelle sue rifrazioni sanitarie, scolastiche e socioeconomiche si presenta in tali condizioni che da varie parti si sente ripetere: “Siamo in guerra”. L’espressione, pur frutto di malcelata reazione emotiva o anche di incontrollato bombardamento verbale, veicola la percezione dell’attuale stato emergenziale: instabile, denso di pericoli, difficilmente governabile.
La suddetta frase si spoglia del suo significato paradossale se riferita soprattutto alla specifica realtà della scuola, senza dimenticare la sofferenza degli altri settori. Da mesi la nostra scuola naviga a vista, tra la tossicità delle tensioni degli insegnanti e degli studenti, delle lagnanze e delle preoccupazioni delle famiglie, delle risse fra improvvisati gruppi contrapposti spesso accomunati dalla libidine di addebitare le responsabilità al fronte avverso.
La questione maggiormente dibattuta e incandescente è la frequente e spesso inattesa chiusura delle scuole, soprattutto di quelle del primo ciclo, con conseguente introduzione della didattica a distanza (DAD) in sostituzione della didattica in presenza. La valutazione del significato della DAD si potrebbe sbrigativamente addurre alla simpatica annotazione di un professore universitario esperto in materia: “Bene il digitale, ma è impossibile bere un buon bicchiere di vino a distanza”.
Completiamo il discorso fin qui condotto affrontando due corollari, o meglio, due argomenti fra loro complementari anche se apparentemente distanti.
a. Gli esperti del settore ci informano che la didattica a distanza non si improvvisa: essa reclama anni di studio, sperimentazione e confronti analitici per poter costruire una mappa metodologica che consenta di condurre l’attività di insegnamento tramite il supporto delle strumentazioni tecnologiche. L’esperienza è ben conosciuta dall’Università Telematica Uninettuno, il cui rettore, precorrendo la formazione a distanza, in 25 anni di ricerca portata avanti con il proprio team ha dato vita ad un modello psicopedagogico e didattico che funziona come punto di riferimento per gli ambienti di apprendimento in detta università.
Il modello é innovativo in quanto capace di stimolare ed esaltare l’autonomia dello studente che, posto nella condizione di accesso ai vari contenuti, sceglie luoghi, tempi e modalità in piena libertà, ovvero in un regime di flessibilità, che nell’insegnamento a distanza costituisce un fattore di qualità. In definitiva, l’allievo si trova al centro del percorso formativo: dispone infatti della possibilità di appropriazione delle conoscenze attraverso la libera partecipazione a videoconferenze, forum, classi interattive.
Ci chiediamo se, ponderate le debite proporzioni in ordine alle differenze anagrafiche e cognitive, non sia possibile trasferire il modello sopra richiamato e adattarlo alle distinte realtà scolastiche di ogni ordine e grado. Ne varrebbe probabilmente la pena, anche prefigurando l’ipotesi di non dover ricorrere, o solo per necessità, alla didattica a distanza. In ogni caso non sfugge agli interessati che il momento decisivo della DAD non sono le risorse tecnologiche, per quanto indispensabili, ma il rilievo primario dello studente, fattore, questo, che attutisce i limiti dell’insegnamento a distanza.
b. A partire dall’a.s. 2019/2020 la scuola è venuta a mancare quasi all’improvviso, è così scomparso l’ambiente amniotico e ossigenato in cui gli alunni, specie i più giovani, si nutrono, respirano, crescono. Chiusi in casa senza preavviso, quasi asserragliati, essi hanno vissuto e vivono la restrizione, il limite invalicabile della porta.
Le scuole si sono attrezzate attraverso la predisposizione, come abbiamo riferito, delle lezioni a distanza, ma i risultati non sempre si sono rivelati efficaci, complice il ridotto tempo disponibile che non ha favorito l’organizzazione e la programmazione delle attività, senza contare la carenza delle tecnologie a scuola e nelle famiglie più disagiate.
La situazione si è via via aggravata perché è scomparso tutto il resto: le relazioni, le frequentazioni amicali, lo sport, la possibilità di coltivare hobby e interessi. Per converso, si è probabilmente capito che la scuola è luogo di rapporto e non solo di didattica. Per questo lo psicanalista e scrittore per i ragazzi Luigi Ballerini sostiene che conviene passare “dal concetto di didattica a distanza a quello di scuola a distanza, si tratta di aggiungere di il fattore umano”.
A fronte di tale scenario, la preoccupazione dei genitori per l’avvenire sia scolastico che esistenziale dei figli è divenuta pervasiva e assillante. Si tratta di una preoccupazione legittima e degna di rispetto, occorre semmai precisare che tale vicinanza alle sorti e ai problemi dei figli non deve rendersi visibile solo nelle circostanze emergenziali, pena il sospetto di inautenticità. D’altra parte non pochi psicologi e pedagogisti vengono in aiuto dei genitori, sostenendo che gli allievi possiedono le risorse per riprendersi e per recuperare eventuali lacune e disagi. Occorre, sempre secondo i citati esperti, un atto di fiducia e, insieme, di coraggio da parte degli adulti: essi possono essere facilitatori di serenità e di benessere solo infrangendo la barriera di tensione e di spavento che incombe sui giovani e sul loro futuro. I figli-allievi hanno bisogno di essere rilanciati e non lasciati in balia dell’ineluttabile; sapranno così reagire consolidando rapporti, cimentandosi in attività benefiche, familiarizzando con la lettura di libri che inchiodano l’attenzione e la mente. Il recupero del loro benessere psicofisico, mentale e morale è un traguardo fondato su una sana speranza, così come è sorretto dalla speranza il motto di Tucidide: “ le sventure insegnano”. O dovrebbero.