Catechesi
Uno dei punti, o pilastri, su cui si costruirà il nuovo progetto è la comunità cristiana: non certo una novità.
Nelle premesse del progetto, anzi tra gli obiettivi, abbiamo indicato che si vorrebbe appunto passare dalle cose che si sanno o si leggono e ripetono da anni, a quello che possiamo mettere in atto concretamente. E tra gli enunciati più ricorrenti in ambito di iniziazione cristiana c’è che il primo soggetto della catechesi è la comunità cristiana. Bisogna quindi capire anzitutto se questo concetto è stato assimilato nelle nostre realtà parrocchiali e come si possa rendere visibile la centralità della comunità nella catechesi.
Nonostante i numerosi riferimenti alla comunità cristiana nei documenti della Chiesa, ritiene che non si sia realmente collocata al centro dei processi di evangelizzazione?
Potrei risponderle con un'altra domanda: chi si occupa dei percorsi di catechesi nelle parrocchie? Mi risponderebbe subito: i catechisti. E questo potrebbe essere significativo per capire a che punto siamo. Già il documento base Il Rinnovamento della catechesi pubblicato nel 1970 diceva: “L’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti, come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità.” Un rinnovamento non avverrà solo cambiando qualche strategia o modello catechistico, questi potranno essere fecondi a condizione che ci sia un grembo ecclesiale generativo, cioè una comunità desiderosa e capace (secondo i tempi di Dio) di “generare figli”.
Quali sono i passi da compiere perché la comunità sia sempre più al centro del progetto?
La prima cosa da fare, in questa fase di ‘cantiere aperto’, è sensibilizzare il più capillarmente possibile le persone delle nostre comunità parrocchiali. Utilizzare tutti gli strumenti, i canali, gli organismi formali e informali per condividere ogni passo e, se possibile, già testarlo in ‘piccole dosi’ sul campo come di fatto sta avvenendo in alcune zone.
Un’ampia partecipazione può rimettere in moto le comunità, restituendo entusiasmo, interesse, e riattivando alcune belle risorse che si stanno spegnendo o delle quali non ci si era accorti. Le fatiche e le resistenze non mancheranno, ma se ogni cosa verrà motivata e attivata gradualmente, sono certo che molti ritroveranno il gusto dell’essere discepoli e testimoni.
Pare di capire che per ridare centralità e protagonismo alle comunità sarà necessario procedere a più livelli...
Esattamente, la comunità infatti è un corpo unico ma composto da più tessuti, e ognuno deve far bene la sua parte. Quando nelle linee generali del progetto abbiamo parlato di acquisire una visione olistica, significa appunto che non solo i catechisti, ma tutta l’assemblea eucaristica, l’insieme degli operatori pastorali, preti, capi scout, educatori di Azione Cattolica, sono e devono sentirsi parte attiva nella proposta di catechesi che allora non significherà più “l’ora di catechismo”, ma l’insieme delle iniziative che educano e accompagnano a maturare nella fede.
Si tratta quindi in un certo senso di unire le forze?
Sì, ma non solo. Sarebbe molto riduttivo pensare che una comunità si ricompatti e prende forma visibile solo quando i vari soggetti ministeriali si mettono insieme per attivare dei percorsi o delle attività.
Occorre seriamente recuperare la dimensione umana, curare le relazioni e la vera prossimità. Esattamente, tutto o quasi tutto quello a cui dobbiamo rinunciare in questo tempo segnato dalla pandemia, ma che se siamo onesti, avevamo già messo da parte da un po’ di tempo. Le nostre riunioni sono spesso fredde perché molto concentrate sul fare, sul decidere cosa organizzare e programmare. Anche le nostre assemblee liturgiche stanno diventando sempre più anonime e la mascherina e il distanziamento non hanno fatto altro che evidenziare questo limite. Eppure, anche in questa situazione, il nuovo ministero dell’accoglienza ha fatto molto bene e credo vada potenziato e ampliato. Esso dà il senso, a chi arriva in chiesa, di trovare qualcuno che accoglie con garbo e delicatezza e ti fa sentire a casa, atteso.
I vescovi, nel sinodo del 2011 dal titolo La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana scrivevano: “Il problema dell’infecondità dell’evangelizzazione oggi, della catechesi dei tempi moderni, è un problema ecclesiologico, che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi come reale comunità, come vera fraternità, come corpo e non come macchina o azienda”.