Ottobre missionario
Sta per iniziare il tradizionale mese di preghiera e riflessione sul mondo delle missioni e il mandato alla Chiesa di annunciare il Vangelo in tutto il mondo. Don Luigi Caramaschi e padre Corrado Dalmonego ci offrono qualche spunto di riflessione.
Parlando di analisi della situazione in una “epoca di cambiamenti” o più correttamente in un “cambiamento di epoca”, è comune sentire usare termini come “nuovi modelli” o “nuovi paradigmi”. Anche nella dimensione missionaria della Chiesa, la parola missione, che evocava termini conosciuti e famigliari come “sfide e avventure, catechesi e conversioni, aiuti e raccolte di offerte”, ora è associata a termini come evangelizzazione e promozione umana. Se la parola “evangelizzazione” risale alle origini, è pur vero che essa oggi ha assunto nuove connotazioni, come prova l’abbinamento con l’espressione “promozione umana”, termine recente che sostituisce il verbo “civilizzare” e rende più leggera la nozione di “progresso”.
Di fatto a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II è iniziata una vera trasformazione, anche se in modo lento, graduale e non ancora pienamente completato.
Infatti, con l’inversione di prospettiva nel rapporto Chiesa-mondo annunciata nello spirito del Concilio e in particolare nella costituzione Gaudium et Spes, una rinnovata ecclesiologia ha aperto nuove prospettive e nuovi orizzonti anche alla missione.
Imparare prima che insegnare, far prevalere la fraternità sull’aiuto, liberarsi da dinamiche di conversione - oggi peraltro sospette di proselitismo - e favorire dinamiche di testimonianza, farsi compagni di viaggio più che benefattori, sono solo alcuni degli atteggiamenti di questo nuovo modo di fare missione e di evangelizzare.
Parliamo cioè di “umile coraggio” che pone la missione evangelizzatrice nella tensione fra “dialogo profetico” e “annuncio” che, dipendendo dai contesti, si contrappongono o si incontrano privilegiando ora una postura, ora l’altra.
Il dialogo nell’evangelizzazione, tuttavia, non può mai essere dispensato. Annunciare il Vangelo infatti non è portare qualcosa da fuori, ma scoprire dal di dentro che la Buona Notizia del Regno con i suoi segni è presente nella vita, nella cultura e nella storia dei popoli.
A margine della presentazione di queste nuove vie della missione è doverosa una doppia confessione di umiltà: non vogliamo certo essere noi, missionari dell’ultima ora, a permetterci valutazioni o confronti con i giganti della missione, da Francesco d’Assisi a Matteo Ricci, da Francesco Saverio ai grandi fondatori delle congregazioni missionarie come Gesuiti, Verbiti, Claretiani, Comboniani, Saveriani, Consolata, Palottini, Pime.
Infine dobbiamo ricordare a noi stessi e alla Chiesa tutta che missionari inviati in terre lontane, se lasciati soli e senza confronti, sono esposti a più di un pericolo come ad esempio quello del protagonismo personale, quello di trasferire pari pari in terra di missione gli schemi e i modelli delle proprie Chiese di provenienza, o quello di inventare e di proporre qualcosa nato dalla loro creatività ma senza radici nel contesto locale.