Mantova
17/10/2025
16.00
Venerdì 17 ottobre la diocesi di Mantova celebrerà il Giubileo dei Custodi del Tempio, a cui sono invitati sacristi, fioristi, campanari, fotografi, e tutti coloro che, con dedizione e discrezione, si prendono cura delle nostre chiese perché siano pulite, ordinate e accoglienti.
Don Gianni Nobis e don Nicola Sogliani, coordinatori della giornata, intervistati da don Giampaolo Ferri, ci aiutano a capire meglio il significato di questa iniziativa.
«Permetteteci prima di tutto un sorriso affettuoso: fuori dal perimetro ecclesiastico, un titolo del genere suonerebbe come l’incipit di una nuova avventura di Indiana Jones, con templi nascosti, trappole segrete e mappe criptiche da decifrare. Ma sappiamo bene che qui non si parla di archeologia fantastica, bensì di qualcosa di molto più concreto, vivo e profondamente spirituale.
Cos’è, dunque, questo “Giubileo dei Custodi del Tempio”? Per comprenderlo, occorre partire proprio dal cuore di questa espressione: Custodi del Tempio. Non parliamo di cavalieri medievali né di misteriosi ordini segreti, ma di uomini e donne che, ogni giorno, con dedizione silenziosa e fede salda, si prendono cura dei luoghi sacri, dei nostri “templi” moderni: le chiese, le cappelle, i santuari. Spesso invisibili ai più, sono coloro che aprono e chiudono le porte delle parrocchie, preparano l’altare, curano gli arredi sacri, accolgono chi entra in cerca di pace o di preghiera. In una parola: custodiscono.
Il Giubileo, in questo contesto, è dunque un’occasione di riconoscimento e gratitudine. Un tempo di festa e riflessione pensato per coloro che vivono il servizio liturgico e pastorale con umiltà e costanza, quasi sempre lontani dai riflettori. Questo evento rappresenta un pellegrinaggio spirituale, ma anche un momento comunitario di incontro, formazione e condivisione.
In un mondo che corre veloce, e dove spesso il servizio umile passa inosservato, il Giubileo dei Custodi del Tempio ci ricorda che esistono ancora testimoni silenziosi della fede, che mantengono viva la fiamma della presenza di Dio nei luoghi di culto. Non saranno protagonisti di un film d’azione, ma sono senz’altro protagonisti di quella grande avventura che è la vita cristiana vissuta nel quotidiano».
«Il Nuovo Testamento parla chiaro: con l’avvento di Cristo, il culto a Dio non avrebbe più avuto bisogno di montagne sacre o di templi di pietra. “Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,23). Un messaggio forte, di rottura, che segnava una discontinuità con il centralismo cultuale del Tempio di Gerusalemme. Eppure, duemila anni dopo, le comunità cristiane — dalle grandi cattedrali urbane alle piccole parrocchie di montagna — continuano ad avere cura dei propri edifici di culto con attenzione quasi artigianale.
Ma cosa significa, davvero, questa cura dei luoghi? La risposta non è solo pratica. Certo, le chiese servono per radunare l’assemblea, proteggere i fedeli dalle intemperie, ospitare la liturgia e custodire i sacramenti. Ma c’è dell’altro. La cura di una chiesa è innanzitutto un gesto simbolico. Un segno tangibile che rimanda all’intangibile: al Corpo Mistico di Cristo, alla comunità dei credenti, alla Presenza reale che si fa spazio e tempo.
Luogo santo, segno della comunione. Nel prendersi cura della chiesa – pulire l’altare, restaurare una cappella, accendere una candela – il cristiano non fa un gesto “religioso” nel senso magico del termine, ma compie un atto di comunione. La chiesa, infatti, non è soltanto “casa di Dio”, ma anche casa della comunità. Un edificio può diventare segno visibile della comunione invisibile dei fedeli: la pietra si fa carne, e lo spazio diventa relazione.
Una tensione tra spirito e materia. Non si tratta di contraddizione, ma di tensione feconda. Il cristianesimo non disincarna mai del tutto la fede. Se il culto è in Spirito e Verità, esso tuttavia si incarna nei segni sacramentali e negli spazi concreti. La liturgia ha bisogno di un “dove” — non perché Dio sia limitato dallo spazio, ma perché l’uomo lo è. E Dio ha scelto di incontrarlo lì, nella sua finitudine».
«La bellezza di una chiesa, la sua dignità, non devono mai diventare autoreferenziali. Esse rimandano sempre a qualcosa che le supera. Quando una comunità si prende cura della propria chiesa, si allena a prendersi cura anche delle sue membra più fragili.
In conclusione, il luogo di culto cristiano non è solo uno spazio funzionale, né un feticcio da preservare. È un simbolo vivo, una parabola architettonica, una realtà visibile che rimanda a un mistero invisibile. In un’epoca che rischia di spiritualizzare tutto fino a svuotarlo, la cura delle chiese ci ricorda che la fede cristiana ha ancora bisogno di carne, di pietra, di spazio e di tempo per manifestarsi. Non per limitarsi, ma per incarnarsi».
«Non ci sono solo autorità religiose o rappresentanti istituzionali nell’elenco degli invitati alla celebrazione. A colpire, in silenzio, sono stati quei nomi spesso ignorati nei protocolli ufficiali ma presenti, con discrezione e dedizione, nella vita quotidiana della Chiesa: i sagristi, i campanari, le fioraie, i fotografi, le volontarie delle pulizie.
Un invito che non è solo gesto di cortesia, ma messaggio chiaro, quasi una dichiarazione d’intenti: la Chiesa è fatta anche – e soprattutto – di mani operose e volti anonimi. Di chi lavora nel silenzio, senza riflettori, senza titoli, ma con la stessa cura con cui si custodisce qualcosa di sacro.
Includere queste persone in un momento ufficiale significa riconoscere la dignità del servizio. Significa dire che pulire un pavimento, sistemare i fiori sull’altare, far suonare le campane o accendere le luci prima della messa non sono mansioni marginali, ma atti liturgici nel senso più alto: gesti che preparano lo spazio all’incontro tra Dio e il suo popolo.
È una scelta che rovescia le gerarchie apparenti e fa emergere una gerarchia più profonda: quella dell’amore concreto e della dedizione quotidiana.
Un volto femminile e popolare della comunità Colpisce anche un altro dato: la maggior parte di questi ruoli è svolta da donne, spesso anziane, legate alla parrocchia da decenni. Sono loro la memoria viva della comunità, quelle che conoscono ogni piega della tovaglia d’altare e ogni fruscio del presbiterio. Invitarle significa riconoscere un protagonismo troppo a lungo invisibile. E allo stesso tempo, è un modo per dire che la cura è parte integrante della vita ecclesiale, non un’attività accessoria.
In un’epoca in cui il volontariato è dato per scontato e il servizio rischia di essere sfruttato o banalizzato, questo invito assume il valore di un gesto profetico. Un “grazie” pubblico che vuole diventare stile della Chiesa».
Il pomeriggio prenderà il via alle ore 16.00 con il ritrovo dei partecipanti in piazza Leon Battista Alberti, cuore pulsante del centro cittadino.
Alle 16.15, nella suggestiva cornice della Sala delle Capriate, si svolgerà un convegno di approfondimento, occasione preziosa per riflettere sul significato dei diversi simboli e luoghi che i custodi vivono nei diversi ambienti parrocchiali.
Alle 17.45 si avvierà la processione verso la basilica di Sant'Andrea, uno dei luoghi più emblematici della fede diocesana.
Alle ore 18.00 seguirà la Meditazione del vescovo Marco, che accompagnerà poi i partecipanti alle ore 18.30 nella Cripta della Basilica, per la preghiera del Vespro e la venerazione dei Sacri Vasi.