Nella sua storia millenaria la chiesa di Sant’Andrea, più di ogni altro edificio di culto della città di Mantova, ha subito modificazioni, trasformazioni e ricostruzioni, ma soprattutto è stata designata nei documenti ufficiali e dalla comunità celebrante con termini differenti. Non si tratta semplicemente di sinonimi o varianti che qualificano la tipologia di “chiesa”, ma costituiscono le diverse percezioni e interpretazioni del luogo di culto da parte delle istituzioni e dei fedeli.
I primi secoli di vita della chiesa sono piuttosto carenti di informazioni, ma sappiamo che all’indomani del primo ritrovamento della reliquia (804), in zona Gradaro, fu costruita una “piccola chiesa” dedicata a Sant’Andrea, ipoteticamente nell’area dove oggi sorge la basilica. Poco o nulla si può dire di questa prima fase, ma per l’importanza che Mantova assunse nella riorganizzazione del territorio in epoca carolingia e per la consistenza di ampie porzioni di muratura risalenti al IX secolo ancora presenti sotto il cosiddetto “Conventino” e la canonica, si può ritenere che sia stato edificato un complesso di edifici piuttosto importante, articolato e adatto alla ritualità carolingia.
Una fase più certa e documentata è quella inaugurata dai Canossa, che dal 1047 fanno edificare un’abbazia benedettina. Appena iniziati i lavori avviene il secondo ritrovamento della reliquia (1048). Questa seconda fase corrisponde quindi a una chiesa monastica con cripta, legata a un’abbazia suburbana. La chiesa abbaziale sarà parzialmente ricostruita in epoca gotica e tardogotica (di cui resta l’imponente campanile). Dall’epoca di massimo splendore della comunità monastica (XII-XIV secolo) alla decadenza il passo è breve, e già all’inizio del XV secolo Sant’Andrea diventa un’abbazia commendataria, cioè senza una comunità religiosa, ma con ricchi benefici terrieri affidati ai rampolli delle principali famiglie mantovane avviati alla carriera ecclesiastica.
Un passaggio epocale avviene nella seconda metà del XV secolo: il marchese Ludovico Gonzaga – subito dopo aver ottenuto la soppressione dell’abbazia commendataria e la licenza papale per demolire la chiesa benedettina – inizia la ricostruzione della basilica su progetto di Leon Battista Alberti (1472). Viene eretta una collegiata con un primicerio a capo del collegio canonicale. La funzione di parrocchia viene assunta da Sant’Andrea solo a partire dal 1540, quando la vicina chiesa di San Lorenzo viene dismessa perché troppo vetusta e il suo fonte battesimale viene trasferito in una delle cappelle della chiesa albertiana. Uno dei canonici avrà il titolo e la funzione di parroco per diversi secoli.
I due termini con cui viene designata la chiesa di Sant’Andrea esprimono un profondo legame con la chiesa universale e con la diocesi. Basilica indica uno speciale rapporto con la Santa Sede, con Roma. Questo titolo è riconosciuto con decreto papale per chiese insigni per storia, valore artistico o spirituale; le chiese fuori Roma hanno il titolo di “basilica minore”, essendo quelle “maggiori o papali” solo le sette romane. Nel XIX secolo qualcuno ha fatto applicare al portale della basilica di Sant’Andrea una targa con l’iscrizione Una ex septem per indicare che la nostra chiesa ha il privilegio speciale di essere annoverata tra quelle più importanti della cristianità (o di Roma, o papali, a seconda delle interpretazioni).
Il termine Concattedrale indica invece una speciale relazione con la chiesa diocesana. Dal 1938, su istanza del vescovo Agostino Domenico Menna, la chiesa fu eretta a seconda cattedrale della diocesi, dopo il duomo di San Pietro, evidentemente per le sue dimensioni e per la possibilità di accogliere agevolmente un numero molto elevato di fedeli.
Nell’ambito della riorganizzazione del Vicariato Urbano, dal dicembre 2024 la basilica di Sant’Andrea cesserà di essere chiesa parrocchiale e diventerà Santuario diocesano del Preziosissimo Sangue di Cristo, cioè un luogo di culto legato alla venerazione e alla diffusione della spiritualità della reliquia.
Stefano Savoia
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