Il significato del termine giustizia deriva dal latino iustitia, da iustus (giusto), che a sua volta deriva da ius, “diritto”, “ragione”. Un vocabolo che sembra aver avuto origine dalla filosofia antica, secondo la quale la giustizia era conseguenza intima della conoscenza del vero e del bene.
Nella tradizione biblica il concetto è radicato nel carattere stesso di Dio, quale suo attributo fondamentale: Dio stesso è giustizia. Nella Scrittura, un aspetto rilevante del concetto di giustizia è quello di “giustizia riparativa”, per la quale Dio ristabilisce coloro che sono vittime dell’ingiustizia, offesi o feriti senza colpa, poiché nella redenzione viene loro restituito quello di cui sono stati privati.
Nella modernità, il concetto di giustizia riparativa propone un modello alternativo a quello punitivo, mirato non alla retribuzione del reato, ma alla riparazione della frattura sociale causata dall’offesa. Il suo scopo è ristabilire le relazioni danneggiate promuovendo una responsabilità condivisa che riconosca l’impatto del reato non solo sull’individuo, ma anche sulla comunità. Questo approccio fa leva sul dialogo e sul confronto per trasformare l’esperienza del reato in un processo di crescita personale e collettiva.
La giustizia riparativa non tende a stigmatizzare la persona, quanto piuttosto l’atto e il fatto. Essa scommette sulle persone e sulle loro capacità positive, cercando di ricostruire l’identità di coloro che sono stati coinvolti attraverso il riconoscimento delle proprie mancanze e dei bisogni della vittima. È un percorso di mediazione e di contatto diretto con l’altro. L’offeso è chiamato a un processo di riconoscimento, che gli permetta di conservare il rapporto con la realtà, ancorché dolorosa, e di mantenere la propria identità, sia pure a prezzo di una menomazione dovuta all’offesa ricevuta. Il riconoscimento, quindi, non è possibile senza riferimento all’altro. Spetta al responsabile dell’offesa ripristinare la dignità della vittima e in quell’azione sarà lo stesso responsabile a ritrovare un riconoscimento, una dignità e una “meritevolezza”.
Pertanto, la giustizia riparativa rappresenta un modello pedagogico che va oltre il principio costituzionale della rieducazione (cfr. l’articolo 27 della nostra Costituzione), sviluppando un approccio più umano e rieducativo verso il reato, inteso non come stigma definitivo, ma quale occasione di crescita nel confronto reciproco tra offeso e offensore. Si tratta di un processo di autentico riconoscimento di sé e dell’altro, che apre la strada a una giustizia formativa, in grado di rispondere all’offesa senza rimuoverla o replicarla. In tal senso, la giustizia riparativa apre uno spazio alla speranza e si realizza nella misura in cui il perdono sostituisce la vendetta, diventando pietra angolare della promessa di un futuro diverso, all’insegna della responsabilità e dello sviluppo interiore.
Le riconciliazioni sociali sono processi attraverso i quali comunità, gruppi o individui che hanno subito conflitti, divisioni o violenze ristabiliscono relazioni basate su fiducia, rispetto reciproco e cooperazione.
Attraverso il dialogo, il riconoscimento delle sofferenze subite, la promozione del perdono e l’impegno per un cambiamento collettivo, le riconciliazioni sociali mirano a sanare le fratture, recenti o storiche, favorendo una convivenza pacifica e inclusiva.
Questi processi spesso integrano iniziative culturali, interventi educativi e di giustizia riparativa, mirando a una società più coesa e resiliente. Le riconciliazioni sociali non sono solo un ritorno alla normalità precedente il conflitto, ma un vero e proprio processo trasformativo che cerca di costruire relazioni nuove e più solide.
Le riconciliazioni sociali sono sia un processo pratico che psicologico: richiedono azioni concrete e un cambiamento profondo nel modo in cui le persone percepiscono sé stesse e gli altri, soprattutto in contesti segnati da divisioni etniche, religiose e politiche. Spesso è fondamentale lavorare sulla memoria e sul perdono, poiché riconoscere e comprendere la sofferenza subita da tutte le parti in gioco permette alle persone di sentirsi riconosciute e ascoltate. Questi processi richiedono tempo e coinvolgono diversi attori – dalle vittime e dai responsabili delle violenze alle istituzioni e alla società civile – con l’obiettivo di ricostruire un senso di appartenenza collettiva e una visione condivisa del futuro.
Uno degli obiettivi centrali delle riconciliazioni sociali è la guarigione collettiva, che richiede il riconoscimento del passato doloroso e il lavoro per evitare che simili conflitti si ripetano. La costruzione di una memoria collettiva condivisa, attraverso la raccolta di testimonianze e il riconoscimento delle sofferenze, crea un ponte di speranza tra le generazioni e aiuta a trasformare il trauma in una fonte di forza per il futuro.
Anche la società civile, i gruppi comunitari e i leader religiosi possono facilitare dialoghi intergruppi e creare spazi sicuri per la discussione. Un esempio emblematico è la Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sudafrica, creata dopo la fine dell’apartheid. Questo organo ha svolto un ruolo cruciale nell’aiutare il paese a fare i conti con le ingiustizie e le sofferenze del passato, grazie all’ascolto delle testimonianze delle vittime e al perdono concesso ai colpevoli in cambio di confessioni sincere.
Azione Cattolica - Mantova