Verso i referendum
I 5 quesiti referendari spiegati alla luce della Dottrina sociale della Chiesa
Tavolo Bene Comune
03 Giugno 2025
“Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico” (Costituzione della repubblica italiana, art. 48)
Vogliamo partire da questo articolo per indicare come la nostra Costituzione, pur senza costringere al voto, lo indichi come dovere civico, sottolineando come la partecipazione sia la linfa vitale di cui si alimenta ogni democrazia. Per questo crediamo che l’astensione dai referendum dell’8 e 9 giugno prossimi, anche se contemplata come possibilità data agli elettori, diverrebbe l’ennesimo - e inquietante - segnale della progressiva disaffezione alla cosa pubblica che da tempo affligge il nostro Paese. È fondamentale andare al voto quindi l’8 e 9 giugno, ma, per le tornate referendarie, si fa obbligo anche di un minimo di informazione, anche perché alcuni quesiti possono apparire piuttosto complessi.
Non abbiamo intenzione di indicare quale segno apporre sulle schede, semplicemente di invitare tutti i cittadini di buona volontà ad arrivare in cabina elettorale con idee un po’ meno confuse, avendo chiara anche la posizione della Chiesa sulle questioni sociali, posizione che a partire dalla Rerum Novarum di papa Leone XIII ha permesso ai cattolici di impegnarsi nella vita civile e politica, rimanendo fedeli ai dettami del messaggio cristiano.
“La Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro. A tale impegno la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale, che riconosce la positività del mercato e dell’impresa, ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune”
(San Giovanni Paolo II, Centesimus annus n°43)
I primi quattro quesiti referendari riguardano aspetti legati alla disciplina nel mondo del lavoro.
«I seguenti quesiti di questo Referendum abrogativo mettono in risalto alcune questioni cardine del lavoro in sé e per sé: il lavoro come luogo di restituzione di dignità e di speranza, il lavoro come sostentamento economico personale e per la propria famiglia, il lavoro come un diritto e il lavoro come posto sicuro. La dinamica del lavoro non può prescindere da questi elementi, che devono essere garantiti a tutte le persone che svolgono un’attività lavorativa. Il lavoro è una delle prime azioni sociali a cui siamo chiamati a partecipare» (Dal documento redatto dalla Diocesi di Bergamo).
Cerchiamo quindi di fornire una breve analisi.
Abrogazione delle norme del decreto legislativo n. 23/2015, che regolano i licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti. Attualmente, queste norme prevedono l'indennizzo economico senza obbligo di reintegro.
Eliminazione del tetto massimo di sei mensilità all'indennizzo per i lavoratori licenziati ingiustamente in aziende con meno di 15 dipendenti.
Questi primi due quesiti impongono una riflessione sulle dinamiche concernenti i rapporti che si vengono a istituire tra datore di lavoro e operaio; ogni soggetto interessato pone in essere specifiche necessità (il buon successo della propria azienda, il bisogno di ottenere salari adeguati). I soggetti pur ponendosi su basi differenti hanno necessità di trovare un equilibrio ed è su questa base che ciascuno deve trovare una risposta.
La Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea l'importanza della dignità del lavoratore, evidenziando che il lavoro è espressione della persona e non deve essere ridotto a mera merce. Pertanto, una riflessione su questi quesiti dovrebbe considerare l'equilibrio tra la protezione dei diritti dei lavoratori e la necessità di un mercato del lavoro dinamico.
Abrogazione parziale delle norme che regolano la durata massima e le condizioni per proroghe e rinnovi dei contratti di lavoro subordinato a termine.
Il quesito propone di limitare l'uso dei contratti a termine, richiedendo specifiche causali. Il quesito del referendum si concentra sui contratti a tempo determinato, istituto di lavoro flessibile che coinvolge oltre 2,3 milioni di persone in Italia. La normativa attuale consente di avviare un rapporto di lavoro a termine per un periodo fino a 12 mesi senza dover fornire alcuna motivazione. L’intento della proposta è quello di reintrodurre l’obbligo di specificare la causale per questo tipo di contratti, così da incentivare la stabilizzazione del lavoro e arginare la crescente precarietà.
«Il lavoro deve essere orientato al bene della persona, evitando forme di precarietà che possano compromettere la dignità del lavoratore. Una riflessione su questo quesito dovrebbe considerare la necessità di proteggere i lavoratori da forme di lavoro instabile, pur rispettando le esigenze del mercato» (Documento redatto dalla Diocesi di Bergamo).
Abrogazione delle norme che escludono la responsabilità solidale del committente, appaltatore e subappaltatore per infortuni subiti dai lavoratori dipendenti di imprese appaltatrici o subappaltatrici, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese coinvolte.
«L’azienda non può essere considerata solo come una "società di capitali"; essa, al tempo stesso, è una "società di persone", di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro» (Centesimus annus, n°43).
Di fronte a questi quesiti, e più in generale ai gravi problemi che oggi toccano il mondo del lavoro, ancora oggi appaiono valide ed attuali le parole che i Vescovi lombardi scrissero più di 40 anni fa:
«Anche le rapide innovazioni che la rivoluzione tecnologica va provocando stimolano interrogativi profondi e suscitano complessi problemi morali. Noi riteniamo che tali problemi debbano essere affrontati con grande equilibrio ed obiettività; cioè con la consapevolezza che ogni forma di progresso, frutto della grande capacità inventiva che Dio stesso ha posto nella mente e nel cuore dell’uomo, non è ambigua in sé, ma ambiguo è l’uso che storicamente se ne può fare, se non è mantenuto nel quadro complessivo di valori morali, e con la fiducia che attraverso l’impegno di tutti è possibile mettere queste meravigliose possibilità a reale servizio dell’uomo e della sua promozione integrale» (Documento dei Vescovi lombardi, Affrontare la crisi, 1983 p. 10).
Proposta di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per presentare domanda di cittadinanza italiana. Il diritto verrebbe esteso automaticamente anche ai figli minorenni dei richiedenti.
Il referendum sulla cittadinanza ha come obiettivo quello di abrogare due norme della vigente legge sulla cittadinanza, in modo da ridurre da dieci a cinque anni di residenza legale in Italia il periodo necessario per chiedere la cittadinanza italiana per lunga residenza da parte di un cittadino straniero (non appartenente all’Unione Europea).
Tutti gli altri requisiti previsti dalla legge rimangono invariati: lo straniero maggiorenne per ottenere la cittadinanza dovrà dimostrare un forte radicamento sociale, una stabilità economica e di essere incensurato dal punto di vista penale. La proposta referendaria non rappresenta un’apertura generalizzata, né prevede che la cittadinanza sia acquisita automaticamente in ragione della sola nascita in Italia (ius soli).
Il dimezzamento dei tempi non è un fatto burocratico, ma sostanziale, perché incide fortemente sulla vita delle persone e sul cambiamento della società. Oggi per ottenere la cittadinanza per avvenuta integrazione sociale nel nostro Paese occorrono almeno quattordici anni (dieci anni, come si è detto, di residenza ininterrotta, e tre, più spesso quattro, per la conclusione del procedimento presso il Ministero dell’Interno). Questa lunghissima prospettiva temporale è il caso più favorevole; non sempre uno straniero ha un lavoro con un buon reddito e la residenza dal primo momento in cui arriva in Italia, più spesso le persone straniere, anche quando sono state regolari nel loro soggiorno fin dall’inizio, hanno impiegato diversi anni per superare la precarietà lavorativa e disporre di un buon alloggio, e non hanno sempre avuto la residenza fin dall’inizio del loro soggiorno. La cittadinanza quindi arriva anche dopo vent’anni di vita nel nostro Paese, durante i quali sono rimasti ai margini di tanti aspetti della vita sociale e fuori dall’esercizio dei diritti politici.
Il dimezzamento dei tempi per la concessione della cittadinanza, riducendo questi tempi abnormi, cambierebbe la vita di molte persone e renderebbe più equo e ragionevole il procedimento di acquisizione della cittadinanza (Dal documento redatto dalla Diocesi di Bergamo).
In vista dei Referendum di giugno, allo scopo di condividere le informazioni necessarie a formarsi un giudizio, lo scorso 20 maggio è stato organizzato un webinar in collaborazione tra Caritas Italiana e Focsiv.
All’incontro, moderato da Massimo Pallottino e introdotto da Ivana Borsotto, sono intervenuti Vanessa Pallucchi, don Bruno Bignami e, con un saluto, don Marco Pagniello.
Su YouTube è possibile rivedere il webinar: