Santuario delle Grazie
L'omelia del vescovo Marco nella solennità dell'Assunta
+ Marco Busca
15 Agosto 2024
...Al cuore dell’annuncio cristiano non vi è una norma etica o una pratica religiosa ma la Persona di Cristo risorto. Oggi celebriamo la risurrezione di Maria o, meglio, la sua partecipazione alla risurrezione di Gesù. L’Assunzione è la Pasqua di Maria. Come afferma Dante nella Divina Commedia, Maria è la «figlia del suo Figlio» (Paradiso, Canto XXXIII,1). In una sorta di “scambio di vita”, Maria dona nel tempo la carne umana al Figlio di Dio e il suo Figlio risorto le dona la vita dell’Eterno. Il Figlio genera la Madre alla vita del Paradiso.
La festa dell’Assunta è, anzitutto, un annuncio di speranza sull’esito finale della storia che non è condannata al trionfo del negativo...
Al cuore dell’annuncio cristiano non vi è una norma etica o una pratica religiosa ma la Persona di Cristo risorto. Oggi celebriamo la risurrezione di Maria o, meglio, la sua partecipazione alla risurrezione di Gesù. L’Assunzione è la Pasqua di Maria. Come afferma Dante nella Divina Commedia, Maria è la «figlia del suo Figlio» (Paradiso, Canto XXXIII,1). In una sorta di “scambio di vita”, Maria dona nel tempo la carne umana al Figlio di Dio e il suo Figlio risorto le dona la vita dell’Eterno. Il Figlio genera la Madre alla vita del Paradiso.
La festa dell’Assunta è, anzitutto, un annuncio di speranza sull’esito finale della storia che non è condannata al trionfo del negativo. Il male continua a inquinare le vite umane di angoscia e inimicizia alimentando l’ingegneria dell’odio e della violenza. Nonostante questi evidenti segni del male, come dice san Paolo, il prepotere dell’avversario del Regno è già stato sconfitto da Cristo. Il rivale dell’uomo non è Dio ma il Maligno. Ingannato dal tentatore l’uomo si separa da Dio nell’illusione di carpire con le sue forze la gloria divina e raggiungere una perfetta libertà e felicità. Adamo, invece di ottenere la gloria, precipita nell’umiliazione della morte. La sua ribellione inaugura una situazione infernale di disperazione e dannazione. Una volta distolto da Dio, il desiderio di infinito devia verso il basso dando origine agli idoli e ai vizi che consentono al male di materializzarsi.
L’Apocalisse contrappone due segni che compaiono nel cielo, l’uno luminoso e l’altro mostruoso. Anzitutto la donna rivestita di sole, con la corona della vittoria finale già posta sul capo; è incinta e si trova nel momento decisivo e culminante del parto. La donna è una figura simbolica a più livelli: rappresenta il meglio del popolo di Israele (la figlia di Sion), Maria, la comunità dei credenti. L’intera umanità è in travaglio per partorire l’uomo nuovo: Cristo, che è la primizia, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti (Col 1,18). La Chiesa, rispecchiandosi in Maria, madre di Gesù, scopre la sua identità e la missione materna di generare e portare Cristo nella storia. La maternità della Chiesa prolunga la maternità di Maria e si salda con essa.
Appare poi il secondo segno: un enorme drago rosso, «il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e satana» (Ap 12,9). Si mette davanti alla donna che sta per partorire per poter divorare il figlio appena nato. Questa figura mostruosa – una sintesi di negatività demoniaca e di malizia umana – si oppone al parto della donna e tende a distruggerne il frutto. Le sette teste, le dieci corna e i dieci diademi sulle teste alludono al potere che il drago esercita sulla convivenza umana. Insinuandosi nelle realtà collettive, porta avanti i suoi piani iniqui avvelenando e corrompendo le strutture sociali e i centri di potere.
La speranza cristiana si àncora alla certezza che l’esito finale dello scontro tra i due regni – quello di Cristo e quello dell’anti-Cristo – vedrà la vittoria della discendenza della donna sul drago. Le potenze degli inferi non prevarranno. Il nostro tempo ha bisogno di coltivare la virtù cristiana della speranza che non è un ottimismo ingenuo e nemmeno un’utopia, ma poggia sulla ferma fiducia che le promesse di Dio si compiranno.
Dante Alighieri è stato «profeta di speranza» e «cantore del desiderio umano» (Papa Francesco, Candor lucis aeternae n. 8), di quel desiderio profondo di rinascita espresso nella frase «uscimmo a riveder le stelle» (Inferno XXXIV, 139) con cui termina il percorso nell’inferno e si squarcia finalmente l’orizzonte della trascendenza.
L’opera di Dante è un intreccio di teologia, filosofia e bellezza poetica. Dal punto di vista letterario, egli fu uno straordinario precursore della multimedialità con la sua finissima capacità di unire le immagini e le idee raggiungendo uno straordinario equilibrio armonico tra carnalità e spiritualità, contingenza ed eternità. Dante era un credente e aveva una straordinaria conoscenza della Bibbia (la cita ben 588 volte). Il suo genio ha trasformato la professione della fede in poesia. La Commedia è un canto teologico.
Lungo i secoli, più volte, si è smarrita la consapevolezza della connaturalità tra la Commedia e l’esperienza cristiana, a scapito dell’unitarietà e del senso profondo dell’intera Commedia. Il segnale di questa difficoltà è la fatica a collocare la cantica del Paradiso e la soluzione di porla in secondo piano perché troppo astratta rispetto al realismo dell’Inferno e del Purgatorio. Al contrario, non capire il Paradiso significa fraintendere la struttura dell’intera Commedia che Dante ha pensato come un cammino del desiderio umano verso Dio che si comprende a partire dal fine, cioè dal traguardo della visione di Dio che motiva tutto l’itinerario. La figura stessa del “nostro” Virgilio è presa per mano dalla grazia e posta a servizio di un percorso verso la gloria. Egli rappresenta la funzione della razionalità nel percorso della fede, nell’intreccio tra il pensiero filosofico e la teologia. Scorrendo le tre cantiche si compie un viaggio nelle “cose ultime” passando dal fango infernale alla luce gloriosa del Paradiso, attraverso la catarsi del Purgatorio.
Il messaggio dantesco è provvidenziale in un tempo in cui la congiura del silenzio sulle cose ultime, sul nostro destino ultraterreno rende ancor più sgomenti e disperati di fronte alla morte e all’al di là. La scelta della Divina Commedia come tema da affidare ai Madonnari in questo 50° Incontro Nazionale ci auguriamo possa provocare pellegrini e turisti a lasciarsi interrogare dal viaggio escatologico percorso e proposto da Dante. Egli, infatti, non è solo l’autore della Commedia, ma anche l’attore. La Commedia non è solo arte, è anche confessione della conversione personale di Dante. Facendosi compagno di ogni uomo, egli partecipa dall’interno a questo cammino di liberazione, un viaggio dalla morte alla risurrezione in cui fondamentale è la meditazione sulla libertà umana. La tripartizione stessa della Divina Commedia è un appello a non vivere con superficialità il tempo terreno, nella consapevolezza che le nostre decisioni e azioni hanno un peso e determinano il nostro futuro eterno. Il giudizio di Dio prende sul serio la libertà umana, non vuole che ne sia svuotato il valore e in questo modo ci impedisce di sprecare gli anni di vita sulla terra destinati a prepararci alla vera Vita.
L’Inferno è la perdizione definitiva di sé stessi e il fallimento del proprio destino autentico. É la perdita di Dio, di una vita di eterno amore beatificante. Questa è la dannazione. L’uomo può darsi l’inferno, separandosi volontariamente dalla Luce e smarrendo la diritta via (cfr. Inferno, Canto I, 1-3). Dante entra nell’inferno per uscirvi. Suggerisce ai lettori un “transito” attraverso l’inferno, breve ma necessario, per fare un benefico esercizio di consapevolezza spirituale e morale. La potenza artistica di Dante costruisce la forma estetica dell’infernalità per rendercela odiosa: l’atmosfera oppressiva, la deformità, i tormenti, l’orrore e l’imprecazione, tutte componenti di una descrizione tragica dell’inferno come stato horribilis et fetidus.
La condizione del Purgatorio, invece, non è più orribile e intollerabile. Le anime in stato di purificazione sono in una differente condizione esterna e interna. I sentimenti tipici dei purganti non sono infernali, c’è una rarefazione della drammaticità. Se l’Inferno è caratterizzato dalla disperazione e dall’irreversibilità, nel Purgatorio prevale, invece, un’atmosfera aurorale e primaverile di diffusa speranza. Non mancano vari stati d’animo, ma è radiata del tutto la disperazione. Qui tutti sperano, con la certezza che questo stato di purificazione finirà e avranno pieno accesso alla luce paradisiaca. I purganti sono coloro che hanno vissuto la vicenda terrena in maniera incompiuta e frammista. Da parte di costoro non c’è mai stata una negazione aperta di Dio, ma nemmeno un’adesione di fede totale. Oltre il tempo, è data ancora una possibilità all’uomo imperfetto di lasciarsi trasfigurare dalla luce e liberare dalle incrostazioni e dalle conseguenze degli errori commessi, ma anche del male subito e contratto per contagio dei cattivi. Lungo il suo viaggio, Dante riesce a liberarsi dal peccato in forza del disgusto e della condanna del vizio.
Finalmente giunge il Paradiso: l’esperienza umana del desiderio d’infinito culmina nella visione di Dio. Dante si sforza di descrivere la contemplazione della Trinità, ma ammette che la penna e la poesia sono limitate e inadeguate a descrivere tale visione. Il mondo del Paradiso è il silenzio, ogni parola cade nell’ineffabilità, la poesia non basta a esprimere il mistero. La realtà divina è eccedetene e inesprimibile, estenua l’immaginazione e mette a tacere la lingua. L’immensità e sconfinatezza della contemplazione rende muti. Per contemplare Dio non bastano né la luce della ragione né la luce della grazia, occorre il lumen gloriae. Contemplare Dio per l’eternità non annoierà perché sarà la scoperta sempre nuova di un Amore inesauribile e incontenibile. La vita di Dio più disseta e più asseta i desideranti. Più si scopre il mistero di Dio e più lo si ignora e desidera. L’infinito divino più riempie e più fa spazio a nuovi compimenti. Il paradiso lo conoscono solo i beati, per connaturalità, per immersione nel mistero che li consuma nel desiderio di unirsi a Dio ed essere divinizzati.
Il Dante che comincia il viaggio non è lo stesso che lo conclude. La conversione lo ha condotto a purificare e intensificare il desiderio umano. Riflettiamo poco sull’importanza del desiderare nella vita umana e troppo poco s’investe nell’educazione dei ragazzi al desiderio a vantaggio dell’educazione a ragionare, a sapere, a saper fare. La Divina Commedia è stata anche il tema del Grest estivo che ha coinvolto migliaia dei nostri ragazzi e adolescenti. Durante una visita ho chiesto ai ragazzi cosa li aveva interessati particolarmente del Grest e uno di loro ha risposto: “Ci hanno parlato del Paradiso”. Facciamo attenzione, noi cristiani, che il vuoto lasciato nei ragazzi dal silenzio degli adulti sull’al di là non venga riempito da angosce, pratiche esoteriche e false ideologie.
Parlare delle cose ultime (la morte, il giudizio, l’inferno, il paradiso) non significa spaventare ma aiutare a sperare e ad impostare in modo libero e consapevole le proprie scelte perché la vita umana abbia un esito felice. Nella Lettera per il VII centenario della morte di Dante, papa Francesco scrive:
«L’essere umano, con la sua carne, può entrare nella realtà divina, simboleggiata dalla rosa dei beati. L’umanità, nella sua concretezza, con i gesti e le parole quotidiane, con la sua intelligenza e i suoi affetti, con il corpo e le emozioni, è assunta in Dio, nel quale trova la felicità vera e la realizzazione piena e ultima, meta di tutto il suo cammino» (Candor lucis aeternae n. 6).
Il desiderio di vedere Dio è il messaggio centrale dell’Assunzione ed è il succo dell’opera dantesca. Maria – assunta in cielo in corpo e anima – è la creatura totalmente trasformata dalla sete del «deiforme regno» (Paradiso, Canto II, 21).
A Natale avrà inizio il Giubileo della Speranza. La nostra Diocesi caratterizzerà il Giubileo all’insegna della “Speranza nel Sangue di Cristo”. La basilica di Sant’Andrea sarà la principale Chiesa giubilare dove recarsi in pellegrinaggio per venerare i Sacri Vasi, ricevere l’indulgenza e ravvivare la speranza nella redenzione realizzata nel Sangue di Gesù. La contemplazione di oggi ci dispone a diventare pellegrini di Speranza alla scuola di Maria e anche della poesia teologica di Dante Alighieri.
Tra le tante speranze, oggi vorrei condividerne con voi due in particolare, di diversa natura. La prima è che l’inferno delle guerre in atto lasci spazio a tempi di tregua e pacificazione. La seconda speranza riguarda più la vita della Chiesa e, precisamente, la possibilità di superare una stagione di contrapposizione interna al cattolicesimo occidentale diviso tra “due anime”. Da una parte quanti sono disorientati e dispiaciuti perché ritengono che la Chiesa si interessi e parli esclusivamente di immigrati, di pace e di ecologia trascurando il primato dello spirito, la liturgia e la preghiera, la predicazione delle verità ultime. All’opposto si situano coloro che, sentendosi interpreti di una posizione più profetica e militante, lamentano la chiusura della Chiesa nei riti e nelle dottrine, nella spiritualità che evade la storia e trascura di denunciare con coraggio le ingiustizie e mobilitare le forze migliori per rispondere alle grandi sfide dell’oggi.
La festa liturgica dell’Assunzione ci ricorda che la grande speranza nella risurrezione finale e nel Paradiso non è in opposizione alle piccole speranze anticipate nella storia. Il Magnificat di Maria è la sintesi delle due dimensioni, quella eterna e quella storica del Regno di Dio. É proprio la grande speranza nella Redenzione operata nel Sangue di Gesù che nutre le piccole speranze di cui il cristiano è testimone nei mondi laici della cittadinanza e della cultura, impegnandosi in favore della famiglia e dell’educazione, promuovendo la conversione ecologica, la partecipazione democratica e la trasformazione dei modelli economici.
Il nostro mondo è protetto dai rischi di trasformarsi in un inferno a condizione che ci siano sulla terra uomini e donne con lo sguardo fisso sul Paradiso. Col pane e il vino offriamoci per questa missione di speranza, in unione con Maria che Dio ci ha donato come «finestra del cielo» (T. Merton).