TAVOLO DEL BENE COMUNE
Una riflessione in occasione della Giornata mondiale della disabilità
DI MAURIZIO TEDOLI
05 Dicembre 2023
Sabato 11 giugno 2016 in occasione dei Giubileo dei Disabili, all’incontro del santo Padre Francesco con i partecipanti al Convegno per persone disabili, una giovane sorridente, dalla sua sedia a rotelle, dice al pontefice con voce emozionata:
«Caro papa Francesco, mi chiamo Serena, ho 25 anni. Vivo a Massa e Cozzile e mi trovo bene nella mia diocesi di Pistoia. Faccio parte del gruppo giovanile e quest'anno andremo anche alla GMG di Cracovia. So però che molti ragazzi come me non si trovano così bene nelle loro parrocchie, non ricevono la Comunione e non partecipano alla Messa con gli altri. Io non capisco perché. Me lo può spiegare lei?».
Questa giovane coraggiosa pone al Papa la domanda che nasce da tante situazioni di emarginazione della disabilità dalle nostre Comunità cristiane, che invece dovrebbero accogliere e amare. Molte persone con disabilità non accedono ai sacramenti o lo fanno con grande fatica; così come con fatica alcune parrocchie accolgono bambini e ragazzi nelle attività di catechesi o di oratorio.
Forse abbiamo troppo spesso eluso la domanda. È necessario passare dall’assenza delle persone con disabilità alla loro appartenenza, guardando nel nostro cuore e nel l cuore delle nostre comunità. Dall’assenza all’appartenenza, un viaggio spirituale prima ancora che operativo, complesso, ma il mettersi in strada, camminare passo dopo passo verso la meta, benchè non sia garanzia di successo, è l'unico modo perché la meta resti reale, possibile, raggiungibile.
L'urgenza nasce anche da tante testimonianze di genitori che non trovano nella comunità l'accoglienza di quelle lacrime che restano così con pudore tra le mura domestiche, che non sanno come esprimere le domande più profonde sul futuro, sulla vita quotidiana, su Dio.
Il focus principale è: l’essere al mondo di quest’uomo cosa ci racconta di Dio? L’esiguità di questo spazio di vita cosa ci racconta dell’infinità di Dio?
La disabilità non è una condanna da vivere in privato, ma un dono da conoscere per il bene nostro, della Chiesa e dell'annuncio del Vangelo, è lo scoprire insieme come la fragilità possa essere la via più promettente per rivitalizzare le nostre Comunità di fede.
A partire dalle ferite personali e comunitarie, maturando nelle relazioni e nella fede si diventa sempre più vulnerabili, ma cresce in noi l'umiltà davanti alla complessità delle vite altrui e si perde la preoccupazione di difenderci per muovere seriamente verso la verità della persona. Questa vulnerabilità ci espone al rischio promettente dell’incontro con l'altro e con la novità, che diventa banco di prova della verità.
L'approdo del nostro andare, l'orizzonte verso cui tendere è l’Appartenenza che non è mai dipendenza, mai possesso, e la totalità nell'appartenenza non è la somma dei singoli, ma un'unità indissolubile: ciascuno è per l'altro. L’ appartenenza è trasformante quando ci prendiamo cura della creatura più fragile, più bisognosa, condividendo la ferita dell'altro e riconoscendola in noi. È allora che si spalanca il panorama stupefacente di cui sentiamo la forza attrattiva, saliamo, pensando all'inclusione delle persone con disabilità, degli emarginati, scopriamo la bellezza di una comunità cristiana che diventa immagine della Trinità.
Cosa ci dice la fragilità della Trinità? Prendersi cura della persona con disabilità, del malato, dell'emarginato, del sofferente fino all'appartenenza coinvolge tutto il nostro essere fino alla relazione con il mistero divino, sino alla domanda di senso più grave. È allora che la storia di Gesù, le sue parole, i suoi gesti e il supremo dono della sua vita, in una sofferenza non cercata ma scelta per assomigliare in tutto a noi, sono la risposta a quella domanda umile e più alta: ''perchè?". La risposta, non verbale ma esistenziale, è una sequela.
Cadono le barriere tra noi e la complessità della realtà! Tra noi e le paure del diverso, tra noi e Dio; si arricchisce il significato del nostro esistere, si dilata il cuore a tutta la nostra umanità: diventiamo umani, così umani da sentire il cosmo come unico ed indivisibile, capolavoro di complessità della quale siamo la coscienza, i custodi e i collaboratori. Diventiamo capaci di intuire Dio come infinitamente semplice e presente.
Un ultimo passo, dalla generosità alla reciprocità; la generosità, pur muovendo da dinamiche positive e cariche di buoni sentimenti, è sempre un travaso che prevede una disparità, c'è sempre un forte in alto che dona a chi è più in basso ed è debole. Terminata la disparità che permette il travaso, la generosità viene meno.
La reciprocità la possiamo immaginare come una circolazione infinita di beni, doni, attenzioni, cure e sostegno tra le persone che sono, in alternanza e nel tempo, reciprocamente creditore e debitore morale. Se l'appartenenza è l'esito della relazione profonda, la reciprocità ne è la grammatica, e il passo inedito e sorprendente è che, parlando questa lingua, si fa chiaro il volto appassionato del Padre per noi.
Nell’ uso frequente che papa Francesco fa nei pronunciamenti magistrali del concetto dì reciprocità c'è un intento pastorale; il guadagno che intuiamo come suo desiderio per la Chiesa è che il credente cresca nella conoscenza dell'identità di Dio, non si tratta di una nuova verità di fede, ma di un essenziale modo di procedere di essa.
"Quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l'intento di cercare il loro bene: allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. (Evangelii Gaudium n.272)
(Tratto da: La disabilità ci rende Umani, Stefano Buttinoni, Independently published)