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12 SETTEMBRE

​Don Eugenio Leoni, martire della carità

​Ottant’anni fa, a Belfiore, i tedeschi uccidevano il sacerdote

DI GIOVANNI TELÒ

12 Settembre 2023

Anche Mantova vive i drammatici momenti dell’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio tra il governo di Pietro Badoglio e gli anglo-americani. La mattina dopo, venticinque mezzi corazzati delle Schutzstaffel – le terribili Ss – entrano in città e, poco per volta, Mantova cade nelle mani dei tedeschi. I soldati italiani vengono fatti prigionieri e deportati in Germania. L’11 settembre una giovane commessa, Giuseppina Rippa, viene uccisa dai tedeschi in piazza Martiri di Belfiore mentre lancia pane verso i prigionieri italiani. Ore terribili, di paura e di morte.

Un prete, il 63enne don Eugenio Leoni, era stato visto aggirarsi per la stazione ferroviaria di Mantova l’8 settembre. Non indossava la talare, ma abiti civili, fingendo di essere il parente dei militari italiani che cercavano di sfuggire all’arresto dei tedeschi. Don Leoni, vicario della chiesa dei Santi Simone e Giuda, in via Fernelli (dipendente dalla basilica di Sant’Andrea), si prodigava per assistere quei soldati. L’aiuto ai poveri e alle persone in difficoltà è stata una costante nella vita di questo sacerdote, fin dal periodo in cui era vicario parrocchiale in San Leonardo, un quartiere popolare della città.
Sono le prime ore del pomeriggio dell’11 settembre – verso le 13.30 – quando don Leoni, in via Cavour, dialoga con due partigiani della Brigata “Ivanoe Bonomi”. Arriva un motociclista tedesco, i partigiani lo disarmano e poi scappano. I militari germanici perlustrano la zona e si mettono sulle tracce del sacerdote: dopo aver sfondato il portone della sua abitazione, presso la chiesa dei Santi Simone e Giuda, trovano don Leoni coricato sul letto. Ma soprattutto scoprono la divisa, il casco e il fucile di un certo sergente Preti, milanese, che il vicario aveva aiutato a fuggire.
Don Leoni non vuole rivelare i nomi dei due partigiani della Brigata “Bonomi” e, nel momento in cui i tedeschi minacciano rappresaglie contro la popolazione del quartiere, afferma: «Uccidete me, ma risparmiate molti innocenti!». Don Eugenio viene portato a villa Solci, nella zona di Belfiore, dove ha sede lo Stato maggiore delle Ss, ed è sottoposto a interrogatori e sevizie.
La sorte del sacerdote è segnata. I tedeschi lo ammazzano a colpi di pistola a Belfiore, sulle rive del lago Superiore, il 12 settembre 1943, a poca distanza dal luogo in cui, tra il 1852 e il 1855, erano stati impiccati dagli austriaci i Martiri di Belfiore. Nel punto dell’uccisione di don Leoni è stato eretto un cippo: qui, ogni anno, egli viene ricordato mediante una cerimonia, alla presenza di autorità civili e religiose. La commemorazione è in programma anche martedì 12 settembre 2023, ottantesimo del suo martirio, alle ore 11.

Don Eugenio Leoni era stato rievocato poco dopo la Liberazione dal nazifascismo. Lo aveva fatto, sul primo numero del settimanale La Cittadella (8 luglio 1945), don Tommaso Bottura, insegnante di Lettere nel Seminario vescovile di Mantova, con queste parole: «Don Leoni, tredicesimo martire di Belfiore, lascia ai confratelli un’eredità di fierezza, a tutti un piissimo ricordo e l’ammonimento di un sacrificio maturato nell’umiltà operosa del Vangelo».
Il sacerdote è stato il primo prete italiano ucciso dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Sono oltre duecento i sacerdoti e i religiosi ammazzati dai tedeschi durante azioni nella Seconda guerra mondiale o caduti nel corso della Resistenza. Don Leoni è stato ucciso dalla ferocia nazista e senza dubbio può essere considerato martire della libertà. Il suo nome compare nell’elenco dei “Nuovi martiri”, voluto da san Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000.
Però la definizione più qualificante è quella di martire della carità, poiché, nei giorni tempestosi dell’8 settembre 1943, don Leoni si era prodigato per aiutare militari sbandati, confusi o renitenti alla leva. Del resto – come si diceva – la carità è il criterio per comprendere al meglio tutta la sua vita sacerdotale. Lo aveva dichiarato don Leoni stesso, nel periodo della Prima guerra mondiale, quando era cappellano dell’ospedale militare “San Giovanni” di Mantova. «Io non ho che amato. È forse eroismo l’amore?», aveva detto, in modo convinto, in quella circostanza.

LA CERIMONIA

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