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PASQUA 2023

​"Facciamo festa (ma) nel Signore"

L'omelia del vescovo nelle festa di Pasqua

REDAZIONE

11 Aprile 2023

[...] Il calendario cristiano ritma ancora le feste dell’anno che si esprimono con auguri, banchetti, omaggi, vacanze. La Pasqua rischia di essere festeggiata senza essere celebrata e la festa stessa perde sapore. Facciamo sì festa, ma nel Signore, come ci esorta San Paolo. Senza la festa liturgica la festa domestica o tra amici tende inesorabilmente a colorarsi di mondanità. 

La festa umana che mette radici nel limo fertile della fede esprime la sovrabbondanza di leggerezza e bellezza di una vita divenuta simile a un gioco, liberata dalla pesantezza, dall’obbligo di produrre, di essere prestanti, visibili e appariscenti. La festa autentica è spontaneità, fraternità, amicizia; è il nostro “sì” detto alla vita e all’essere che Dio ci ha donato creandoci non come i facchini della vita, ma come i suoi celebranti. Le virtù della serietà, del lavoro indefesso, della corsa competitiva hanno contribuito a spegnere i fuochi della festa. L’uomo che si definisce attraverso la sua razionalità e la sua potenza produttiva ha dato il permesso all’idolo dell’efficienza di atrofizzare le sue facoltà di celebrazione. Ritengo sussista un punto di incrocio tra il declino della festa e l’assenza di Dio in una vita feriale divenuta monodimensionale e grigia. Ma anche certi riti religiosi paludati di serietà e ieraticità perdono qualcosa della freschezza pasquale della liturgia cristiana. 
È eloquente il fatto che nella tradizione cristiana la Pasqua, che è “la festa delle feste”, segue a un tempo di quaranta giorni di digiuno e di radiosa tristezza per purificare l’anima dai vizi e convertirla all’Evangelo. Questo rivela come l’ordine della festa nel mondo e nella chiesa funzionano al contrario. Nel mondo viene prima l’eccitazione dei sensi, il piacere a cui segue in genere l’amarezza, l’insoddisfazione, persino il disgusto, viene prima l’intensità della vita a cui segue la tristezza di fronte alla morte. Nella Chiesa, al contrario, prima viene l’amarezza, la consapevolezza che siamo polvere e cenere, creature mortali, questo genera il pentimento che sbriciola il cuore indurito e insensibile; poi viene la gioia immensa, calda, l’esperienza di essere perdonati, ricreati, riammessi a festeggiare la vita insieme al Risorto in attesa di essere accolti come ospiti al banchetto di nozze del Regno. La festa di Pasqua è un’anticipazione della festa del Paradiso dove non serviranno più i simboli della festa (il tempio, gli inni, i riti) perché nella Gerusalemme celeste la festa sarà l’essenza delle cose. La vita eterna sarà festa e la festa sarà la vita stessa condivisa con Dio e con il coro di tutti gli “esseri liturgici” che affolleranno la sala nuziale del Regno. Nel Giorno del Signore tutte le cose canteranno, la lode sarà l’essenza stessa delle creature. La Pasqua ci spinge a intonare il Cantico nuovo, il cantico dei redenti, quello che Dio gradisce e si attende da noi: “Il cantore, egli stesso, è la lode che si deve cantare. Volete dire le lodi a Dio? Voi siete la lode che si deve dire. E siete la sua lode, se vivete in modo retto” (Dai «Discorsi» di sant’Agostino, 34, 1-3.5-6).  
Il segno che siamo risorti con Cristo è che sappiamo festeggiare. Quando, per la seconda volta, Maria di Màgdala lascia il sepolcro e corre dagli apostoli, finalmente il suo annuncio è completo: non riferisce solamente che il sepolcro è vuoto e il cadavere di Gesù scomparso, ma annuncia: «Ho visto il Signore! e ciò che le aveva detto». La vera notizia della Pasqua è che Gesù ci precede in Galilea e là lo vedremo. Non a Gerusalemme, nella città santa, luogo degli eventi straordinari degli ultimi giorni della sua vita, ma nella regione della Galilea lo vedremo, dove Gesù ha condiviso con i discepoli la vita quotidiana, in riva al lago, sulla barca a pescare, sui monti, sulle strade e tra i villaggi, beneficando e risanando. E il segno concreto che un cristiano condivide la sua vita feriale con al suo fianco il Signore risorto è una caratteristica tipica del suo stile e del suo cuore: la capacità di compassione e di intercessione per ogni creatura vivente. San Serafino di Sarov, uno dei santi russi più amati, salutava in ogni periodo dell’anno i suoi visitatori con queste parole: “Gioia mia, Cristo è risorto!”. Ogni creatura si trasformava per lui in motivo di gioia e di annuncio della risurrezione. 
Solo se celebrata, la Pasqua è veramente festeggiata e può trasformare la vita in festa. 

In allegato il testo integrale dell'omelia.

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