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1945-2025

Gli 80 anni della "Cittadella"

Il settimanale diocesano nato nel segno della "Ricostruzione"

Antonio Galuzzi

14 Luglio 2025

Ottant’anni sono una bella età, un traguardo invidiabile. Anche se il fiato si fa più corto, il passo diventa incerto e i ricordi rubano sempre più spazio ai sogni. Sopraggiunge però una saggezza fatta di esperienze vissute, di mari attraversati, calmi o agitati a seconda dei tempi e delle situazioni incontrate.

Oggi è la nostra Cittadella a compiere 80 anni: è nata l’8 luglio 1945, sulle macerie della Seconda guerra mondiale. Macerie di ieri e macerie di oggi: con la guerra appena fuori dall’uscio e le immagini strazianti di bambini e famiglie decimate nel silenzio complice dei nostri interessi nemmeno tanto celati.

“Ricostruzione” è il titolo del primo editoriale (non firmato), centrato sull’idea che occorreva edificare sulla pietra unica scelta da Dio – il Cristo – non più sui vecchi miti che avevano seminato morte e rovine dovunque si erano affermati; e nemmeno si doveva contare sui nuovi che si affacciavano con pretese di assolutezza altrettanto pericolose. La guerra aveva portato anche fra noi grandi distruzioni materiali e scavato solchi difficilmente colmabili. La Chiesa doveva dichiarare la propria collocazione, le proprie ragioni e proposte, come la difesa del patrimonio cristiano, essere voce di chi non ha voce, una voce forte destinata ai cattolici operosi, ai cattolici inerti, a “quelli che non la pensano come noi”…

A rileggere le parole scritte allora si scorge l’enfasi oratoria di un’ormai tramontata passione sociale e morale tra interlocutori attenti alla forma e formati all’attenzione. Riletto ai giorni nostri, il messaggio non cambia: essere voce dei più fragili, essere Chiesa accogliente e solidale, essere presenti nella società con una voce chiara e autorevole.

La Cittadella nasce in un cortile della parrocchia di Sant’Egidio nel caldo estivo mantovano: a promuovere il settimanale sono preti che hanno vissuto la Resistenza, ex cappellani militari, reduci dai campi di concentramento. Il primo direttore del giornale che conta due sole pagine è il 35enne don Mario Ghirardi, insegnante di Teologia del Seminario. L’anno successivo lascerà la direzione a don Costante Berselli, che di anni ne ha 34. Nel 1957 gli subentrerà don Luigi Giglioli fino al 1970. Poi monsignor Roberto Brunelli (1971-1975), che aveva lavorato alla Mondadori, don Stefano Siliberti (1976-1985), che per ragioni di salute lascerà il posto a monsignor Benito Regis, professore al liceo “Belfiore” di Mantova.

Siamo a metà del cammino: i primi 40 anni del giornale sono serviti a tradurre i valori di fondo nelle mutevoli situazioni sociali e culturali, declinando a seconda delle personalità di ognuno dei direttori il compito formativo e informativo del lettore cattolico. Don Regis porta il giornale dalle 12 alle 32 pagine, allargando le collaborazioni a tutti i settori della società civile, associazionistica, solidale, caritativa, ecclesiale, con sguardo sul mondo e sulla diocesi, sui vescovi e sui laici.

Dei secondi quarant’anni della Cittadella posso parlare in prima persona: degli oltre 3700 numeri usciti, la metà li ho “costruiti” con le mie mani – artigianalmente con colla e forbici fino al 1990 – e poi con strumenti informatici via via sempre più potenti e veloci.

Per trent’anni ho lavorato accanto a don Regis, un uomo così attaccato al giornale – e alla vita – che fin sul letto di morte mi parlava delle sue idee per rivitalizzare le pagine della Cittadella, già scivolata nella crisi della carta stampata che il veloce “mondo di Internet” stava soppiantando con le notizie mordi e fuggi.

Negli anni successivi, Paolo Lomellini, già editorialista del settimanale, e poi don Giovanni Telò hanno guidato il giornale con estrema professionalità nel passaggio a dorso di Avvenire. Un passo importantissimo che ci ha dato la possibilità di aumentare le copie distribuite (25.000 in Lombardia) e la diffusione nelle edicole la domenica mattina.

Oggi siamo tornati alle due pagine iniziali: non lo si legga come un passo indietro. È un piccolo passo, certo, ma un grande passo per la Chiesa che non deve rimanere ferma ma “ricostruire”, essere di nuovo e sempre “voce di chi non ha voce”.

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