Giubileo della Speranza
La testimonianza dei mantovani che hanno vissuto l'esperienza a Roma
don Francesco Freddi
06 Agosto 2025
Ci sono esperienze che non si riescono a raccontare per intero, perché parlano attraverso i volti, i passi, le lacrime, le mani alzate durante un canto. Il Giubileo dei Giovani 2025 è stato proprio questo: un'esperienza di grazia che ha messo in movimento circa 280 giovani della nostra diocesi, provenienti da una trentina di parrocchie, disposti a camminare – dentro e fuori – alla ricerca di un senso, di una Parola viva, di una fede che non sia solo ripetizione, ma scoperta, relazione, scelta personale.
Tre sono stati i percorsi proposti dalla pastorale giovanile diocesana:
Tre modalità diverse, adattate alle disponibilità e alle età dei ragazzi, ma un unico desiderio condiviso: vivere un tempo forte di comunione, di fede e di libertà. Un desiderio che ha fatto esplodere la bellezza di una Chiesa giovane, che si sporca le mani, che ride e prega, che suda e canta, che dubita e si affida.
I giovani che hanno vissuto il cammino da Assisi a Roma hanno fatto un’esperienza radicale, ispirata dalle tappe decisive della conversione di san Francesco. Il suo spogliarsi di tutto – non solo dei beni, ma delle maschere, delle sicurezze, delle attese altrui – ha provocato tanti ragazzi a guardarsi dentro e a fare verità. L’incontro con il lebbroso, il volto del rifiuto e della fragilità, è diventato uno specchio: “Chi sto evitando nella mia vita? Chi faccio fatica ad amare?”. E poi la consapevolezza di sentirsi perdonati e rilanciati, come Francesco sotto la croce di San Damiano: “Ripara la mia casa...”.
Tra le salite dell’Umbria, le soste nei monasteri, le notti sotto le stelle e i piedi stanchi, è emersa una fede concreta, fatta di passi e condivisione. Il silenzio della natura, la fatica fisica, il tempo lungo e non frammentato: tutto ha contribuito a creare uno spazio inedito dove Dio ha potuto parlare. E i ragazzi hanno ascoltato. Alcuni per la prima volta. Altri con una nuova consapevolezza.
Per chi ha vissuto la settimana del Giubileo a Roma, l’esperienza è stata altrettanto intensa, anche se diversa. Niente hotel né comfort: si è dormito per terra, si è viaggiato in metro, si è camminato a lungo ogni giorno. Ma questo ha creato un clima di essenzialità e fraternità che ha reso tutto più vero. I gruppi, guidati dai loro educatori, hanno costruito la propria esperienza scegliendo tra le numerose proposte della pastorale giovanile nazionale: catechesi, percorsi artistici, pellegrinaggi urbani, adorazioni, spazi di confronto e testimonianza.
I grandi eventi non sono mancati: la Messa di apertura, il giovedì degli italiani in Piazza San Pietro, con l’intensa omelia del cardinale Zuppi, che ha invitato i giovani a «disarmare i cuori per disarmare il mondo», a non accettare la logica della guerra e del potere come inevitabile. E poi il venerdì dei giovani lombardi, momento regionale di preghiera e incontro. Fino alla Veglia con il Papa, una notte di luce, dove il Santo Padre ha ricordato ai giovani che la fede non è una teoria, ma un’amicizia viva, un cammino concreto, una relazione che cambia la vita.
Ma forse ciò che più ha segnato i nostri giovani sono stati i momenti semplici: un canto nella metropolitana, una lacrima condivisa in confessione, un abbraccio dopo una testimonianza forte. La Roma del Giubileo non è stata solo la Roma dei monumenti e delle folle, ma anche la città dei piccoli gesti di fraternità che hanno parlato più di tante parole.
Le parole di papa Leone XIV nella Veglia e nella Messa conclusiva hanno messo la parola “speranza” al centro: i giovani non sono solo spettatori, ma «semi di speranza ovunque viviate: in famiglia, con gli amici, a scuola…», chiamati a essere segno che un mondo diverso è possibile. L’immagine che papa Leone ha lasciato è indimenticabile: «Gesù bussa dolcemente alla finestra della vostra anima», spronando a non accontentarsi di surrogati vuoti ma ad aspirare ogni giorno «a cose grandi, alla santità».
Nel cuore della settimana romana, ci siamo ritrovati insieme al nostro vescovo Marco, in un clima semplice e profondo. Il vescovo ha aiutato i ragazzi a riflettere su relazioni, affetti, amicizie. Ha parlato della responsabilità del cuore, della necessità di donarsi a chi è capace di accogliere con rispetto e autenticità. Ha chiesto di riconoscere l’amicizia come luogo di Vangelo, come via concreta per vivere l’amore di Gesù nella quotidianità.
Due brani evangelici hanno guidato il cammino spirituale:
L’amicizia come scuola di libertà, come spazio per imparare a donarsi senza possedere, a volersi bene senza invadere. E poi, nella liturgia penitenziale, il brano di Zaccheo ci ha fatto sentire tutti raggiunti da uno sguardo che ci precede: Dio ci cerca prima ancora che noi lo desideriamo. Ci chiama per nome. Viene a casa nostra. Anche se è disordinata. Anche se ci vergogniamo. Un momento toccante, in cui molti hanno riscoperto la bellezza di sentirsi perdonati e accolti. Un'esperienza generativa per la Chiesa di oggi.
Questo Giubileo non è stato solo un evento. È stato un luogo generativo. Ha fatto emergere domande profonde, desideri veri, relazioni nuove. Ma soprattutto ha fatto venire alla luce un capitale umano ed ecclesiale enorme, spesso invisibile: i giovani stessi. Non sono solo destinatari da intrattenere o da “educare”. Sono testimoni in divenire, capaci di parola, di profezia, di visione.
Un ringraziamento speciale va a tutti i referenti dei gruppi parrocchiali, che hanno accompagnato i ragazzi con dedizione, preparazione e cura. Il loro lavoro silenzioso e prezioso è stato il terreno su cui tutto è fiorito.
Ma ora, a tutta la nostra Chiesa mantovana, resta una responsabilità grande: saper ascoltare ciò che questi giovani ci stanno dicendo. Non dobbiamo guidarli, né addomesticarli. Dobbiamo far loro spazio. Loro hanno coraggio, energia, libertà. Chiedono una Chiesa capace di libertà e ascolto. Non una struttura da difendere, ma una casa da aprire.
Una Chiesa fuori dagli schemi, come Gesù.
Se c’è una parola che può sintetizzare questa esperienza, è “amicizia”. Amicizia con Dio, con sé stessi, con gli altri. Un’amicizia che spinge a uscire dagli schemi, proprio come ha fatto Gesù. Questo Giubileo ha mostrato una Chiesa che può essere giovane non per l’età, ma per la disponibilità a camminare, a cambiare, a fidarsi.
Ciò che abbiamo vissuto non finisce qui. È un seme. Ora tocca a noi riconoscerlo, custodirlo, farlo crescere. Con fiducia, senza rigidità. Con stupore, come chi scopre che il Vangelo può ancora sorprenderci.