Bene comune
Messaggio del vescovo Marco per il 1° maggio 2025
Marco Busca
28 Aprile 2025
«So che lavorate uniti, con quella tenacia e inventiva che vi contraddistinguono. Mi complimento con voi per questa unità nella diversità», sono le parole con cui Giovanni Paolo II si rivolgeva al mondo del lavoro mantovano durante la visita pastorale alla nostra diocesi, compiuta nel giugno del 1991. Infatti, proseguiva il Pontefice, «il bene di ciascun ambito della vita economica si realizza se tutte le componenti sociali operano in vista del bene comune che, per essere veramente tale, deve porsi in rapporto diretto con l’intera società».
Una visione ripresa da papa Francesco che, parlando ai lavoratori dell’Ilva di Genova, ricordò come il lavoro costituisce «il centro di ogni patto sociale», e ribadito dai vescovi italiani, che nel loro messaggio per la festa del Primo Maggio definiscono il lavoro «un’alleanza sociale generatrice di speranza».
Alla luce di questo, non possiamo non rilevare alcuni squilibri e criticità, dai quali derivano disuguaglianze e povertà. Infatti, vi sono tendenze che alimentano una spirale al ribasso circa la dignità del lavoro, laddove non si punta alla qualità, ma si tagliano i costi, compresi quelli legati alla sicurezza, alla salute e al rispetto dell’ambiente, creando situazioni di incertezza, precarietà e mancanza di tutele, che impoveriscono il lavoro e, talvolta, provocano infortuni e incidenti mortali. Pensiamo al fenomeno del cosiddetto “lavoro povero”, caratterizzato da un calo dei salari reali e del potere d’acquisto, con lo sfruttamento di tanti lavoratori, spesso invisibili, che sopravvivono ai margini della società, schiavi del lavoro nero o sottopagato.
Inoltre, non possiamo trascurare gli effetti della crisi demografica e le notevoli difficoltà che incontrano i giovani nell’affacciarsi al mercato del lavoro. Purtroppo sono molti quelli che abbandonano la nostra provincia, in quanto non offre loro reali prospettive di crescita. Un tema che si collega al sostegno e alla valorizzazione del lavoro femminile, spesso penalizzato con minori retribuzioni, contratti instabili e assenza di garanzie nei tempi della gravidanza e della maternità.
Anche i fenomeni migratori, se regolati e gestiti con saggezza e umanità, non possono essere letti come una minaccia, ma diventano un’essenziale risorsa. L’ingresso di persone giovani e desiderose di inserirsi nel mondo del lavoro, infatti, rivela lo sviluppo di una società e non il suo declino.
Per affrontare tali sfide e immaginare nuove prospettive è allora necessario un cambio di passo, che tenga insieme e conduca a una sintesi creativa gli aspetti economici, sociali, ambientali e spirituali. Nuove modalità di produzione, di consumo e, più in generale, uno stile di vita sociale che sostenga uno sviluppo fraterno e sostenibile, capace anche di uno “sguardo contemplativo” sulla realtà. Si tratta di educarci a una cultura della cura verso noi stessi, gli altri e l’ambiente, attuando un’autentica transizione che includa tutti, che sia fraterna, giusta e attenta ai più fragili, verso la creazione di «un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (Evangelii gaudium, 192).
Assistiamo al germogliare di segni generativi di speranza, che richiedono la responsabilità e l’attiva partecipazione di tutti noi, in quanto le dinamiche economiche non passano sopra le nostre teste, lasciandoci impotenti. Il mercato siamo noi, sia in quanto imprenditori e lavoratori, sia come consumatori critici e consapevoli di ciò che acquistiamo. Se, in tutta evidenza, la “mano invisibile” non è sufficiente a risolvere i gravi problemi oggi sul tappeto, sono le nostre “mani visibili” che devono farsi custodi e co-creatrici di una società equa e solidale. Consapevoli che la condivisione da cui deriva l’autentico sviluppo non è solo un prodotto del nostro lavoro, ma anzitutto un dono da invocare, in quanto – come scrive papa Francesco nella bolla giubilare – «i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza».