LUTTO NELLA CHIESA MANTOVANA
L'omelia del vescovo Marco tenuta ai funerali di don Bottoglia
DI MARCO BUSCA
19 Agosto 2023
Pubblichiamo integralmente il testo dell''omelia del vescovo Marco nella liturgia esequiale di don Antonio Bottoglia tenuta del Duomo di Mantova il 19/08/’23
Lezionario biblico: Col 3,1-4.9b-15; salmo 138 (137); Mt 19,13-22
L’ultimo atto di un uomo è la restituzione della vita a Dio. Non lo compie da solo. È la sua comunità che si accomiata e lo consegna nelle mani del Padre. Per don Antonio è la famiglia del presbiterio che intercede per il confratello più anziano, sono i parrocchiani di sant’Apollonia che ricordano e affidano il loro pastore, sono gli Istituti Santa Paola che accompagnano il loro fondatore, è la città di Mantova che saluta un citta- dino e un prete che è stato per decenni uno dei suoi punti di riferimento.
Compiamo questi gesti ‘ultimi’ di raccomandazione e di saluto con il linguaggio della fede cristiana che pone sulle nostre labbra le parole più essenziali e vere per chiedere «che il Signore accolga la sua anima nella comunione gloriosa dei santi; apra le braccia della sua misericordia, perché questo nostro fratello, re- dento dalla morte, assolto da ogni colpa, riconciliato con il Padre, e recato sulle spalle dal buon Pastore,
partecipi alla gloria eterna nel Regno dei cieli».
Il viaggio spirituale di un cristiano va dal fonte battesimale alla Gerusalemme celeste, dalla terra al cielo. Il movimento è innescato dal battesimo che fa del cristiano un cittadino del Regno e mette nel suo spirito ildesiderio infinito di Dio, la nostalgia dell’eternità, la tensione a cercare le cose di lassù, dove è Cristo, se- duto alla destra di Dio. Paolo ricorda ai cristiani di Colossi che essi sono risorti con Cristo e che il loro pen- siero è rivolto alle cose di lassù, non a quelle della terra. L’apostolo non vuole contrapporre una vita spiri-tuale dell’anima a una vita terrena del corpo, di qualità inferiore e di poco valore. Piuttosto ci ricorda che le motivazioni profonde della vita di un cristiano affondano nella fede in Cristo, la sua vita è nascosta con Cri- sto in Dio, le sue radici rimangono invisibili. Eppure, proprio da questo radicamento in Cristo, il cristiano at- tinge la sua forza spirituale e i criteri che orientano il suo pensare e il suo agire nella storia. Infatti, nel pro- seguo del brano Paolo descrive gli effetti orizzontali, umani e relazionali di questo radicamento in Cristo: «rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sop- portandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della ca- rità, che le unisce in modo perfetto».
Ciò che abbiamo di più prezioso nel cristianesimo è Cristo stesso. Un cristianesimo senza Cristo è impove- rito del suo centro. La fede cristiana consiste, anzitutto, nel rapporto vitale e personale con Gesù ricono- sciuto e accolto come proprio Signore e Salvatore. La fede produce anche una cultura, un umanesimo cri- stiano, ma non si può ridurre a un sistema culturale di valori e significati. La fede non è a fianco della vita. È la vita umana stessa che assume una qualità nuova in quanto è condivisa con Cristo, santificata dal suo Spi- rito, rinnovata dalla carità che sgorga dal suo cuore. La fede agisce mediante la carità e si manifesta nelleopere. “Dai frutti si riconosce l’albero” (Mt 7,16-20). Se la fede nel Cristo si indebolisce o si smarrisce, l’al-bero della carità si secca e diventa ben presto infruttifero. Se viene a mancare la passione per Cristo e il suo Vangelo si affievolisce lo slancio missionario, si prosciuga la riserva di fantasia carismatica capace di trovare risposte concrete ai bisogni attuali. I carismi sono, infatti, manifestazioni dello Spirito per il bene comune,sempre collegati all’oggi.
Don Antonio è stato un prete carismatico, un lavoratore instancabile, fino alla fine ci teneva a dire che non era tipo da pisolino o da ricovero. Era un uomo concreto che cercava risposte concrete, puntava sull’esem-plarità secondo il principio educativo salesiano che “un grano di buon esempio vale più di un quintale di pa- role”.
Il suo campo di lavoro è stato il sacerdozio che ha occupato ottant’anni della sua vita, assorbendo tutte le sue energie e i suoi interessi. Coltivando il campo della chiesa si è imbattuto in ciò che è stato il suo auten- tico tesoro nascosto: la gioventù. Per i giovani ha profuso il meglio della sua umanità, della sua paternità,
del sacerdozio. Il brano evangelico narra l’incontro di Gesù con un tale, senza nome, di cui si precisano due cose: era ricco e giovane. Questo tale – in cui possiamo ravvisare ogni giovane all’alba della vita carico diaspirazioni e potenzialità – interroga il maestro su “che cosa deve fare di buono”. Chiede consigli, ma so-prattutto una via pratica per entrare nella vita autentica. E cerca un Maestro buono che lo indirizzi. Don Antonio è stato per generazioni di giovani lo strumento che ha favorito la loro formazione professionale.Apprendere l’arte di lavorare è il tirocinio imprescindibile per imparare a vivere, per progettare un matri- monio e una famiglia. C’è una fetta consistente di ragazzi e giovani che pensano e imparano con le mani,“imparano facendo”, e maturano sviluppando abilità pratiche. Da buon educatore che si ispira al metodo di don Bosco, don Antonio ha cercato di lavorare a tutto campo per la formazione integrale dei ragazzi. L’uomo o cresce tutto insieme o non diventa maturo se qualche aspetto rimane sottosviluppato. La parroc- chia e la scuola diventavano per il nostro decano l’ambito, il “contenitore” atto a promuovere la formazionemorale, l’inclusione sociale, l’esperienza ludica e aggregativa.
Tornando al giovane del Vangelo, è interessante che è un insoddisfatto, non perché superficiale, ma al con- trario, perché in sé stesso ha raggiunto l’apice del desiderio: “avere la vita eterna”. Ha già raggiunto un buon livello di maturità umana e morale, ma non gli basta osservare le regole di comportamento e fare il suo dovere. Qualcosa gli manca, e Gesù precisa che è “qualcuno” che gli manca. La sua insoddisfazione non è legata al mancato successo economico o a qualche crollo di idealità. Questo giovane fa le cose bene. È bravo, ricco di possibilità e di beni, ma ancora povero della compagnia essenziale per avere una vita defini- tiva e piena, e Gesù gli rivela ciò che gli manca, da un nome al desiderio frustrato: Segui me, sono io che ti manco. Liberati dalle certezze effimere che non ti bastano e avrai un tesoro in cielo. Gesù ha sfidato quel giovane come continua a sfidare ogni giovane alla libertà, al potere di decidersi a seguirlo e trovare la vera gioia oppure di andarsene col volto rabbuiato dalla tristezza.
Negli ultimi anni, in più circostanze, don Antonio tornava a parlare con me di come sono nati gli Istituti Santa Paola. Ne parlava con gratitudine, attribuendo quasi tutto il merito alla provvidenza divina, e con am- mirazione verso i suoi collaboratori. Condivideva con il vescovo il vivo desiderio di dare continuità all’operada lui intuita e alimentata profondendo tutte le risorse umane, spirituali, economiche a sua disposizione. Lapreoccupazione riguardava soprattutto l’ispirazione evangelica e cristiana dell’istituzione scolastica e la suaproposta educativa. Ricordo che ripeteva: “Ho fatto tutto questo perché sono un prete”. Mi invitò a visitareancora una volta gli Istituti Santa Paola l’11 aprile 2022 e in quell’occasione, alla presenza di una rappresen- tanza di amministratori, professori e studenti, intavolò a braccio un discorso in cui parlò dell’importanza diaiutare i ragazzi ad avere un futuro migliore, fornendogli gli arnesi necessari, poi sviluppò un discorso espli- cito sull’importanza dell’educazione religiosa perché – cito a senso – “tutti noi siamo creature di Dio e molti hanno ricevuto il battesimo”. Sono certo che quanti hanno condiviso con don Antonio la passione per l’edu-cazione dei giovani onoreranno questo suo desiderio circa il futuro degli Istituti Santa Paola.
La figura di don Antonio ricorda alla nostra chiesa che la scommessa sui giovani è la mossa vincentedell’evangelizzazione. Gesù è giovane tra i giovani, è eternamente capace di affascinare i cuori giovani. A dispetto di alcune narrazioni sui giovani disimpegnati, banali, trasgressivi, annoiati, la recente Giornata mondiale della Gioventù ha presentato uno spaccato di giovani interessati alle grandi domande della vita, capaci di riflessioni, scambi profondi tra loro, spazi di silenzio e di preghiera intensa. Ancora oggi quel gio- vane cerca il maestro perché lo aiuti a capire cosa deve fare per estinguere la sua sete di vita eterna. Chi sta coi giovani rimane giovane.
Il decano del nostro clero mantovano ha visto notevoli cambiamenti nella società italiana, nell’imposta- zione pastorale, nel modo di concepire ed esercitare il ministero presbiterale. Non tutto gli garbava e loconvinceva. Un’esperienza così lunga, poi, lo obbligava a esercitarsi parecchio nella virtù del buon scriba del Vangelo che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche! Ha conservato alcuni tratti tipici della genera- zione sacerdotale di un tempo: indossava sempre la tonaca (anche quando guidava la bicicletta) e teneva sempre a portata di mano il breviario. Al contempo cercava di aggiornarsi, aveva sempre qualche libro
nuovo sulla scrivania dello studio per prepararsi a predicare. Fino all’ultimo ha conservato il suo posto nellascuola, alla maniera di un segno quasi nascosto, ma non assente. E questo è l’esito della vita di un discepolodalle radici profonde nel terreno della fede che si sono manifestate nei frutti visibili delle sue opere pasto- rali, sociali ed educative. A un certo punto i frutti dell’albero si moltiplicano e quasi parrebbe che si alimen- tino da soli; giunti a quella fase l’opera più importante del fondatore carismatico è attirare l’attenzione sulla parte che rischia di restare nascosta agli occhi dei più, la sua ultima opera decisiva per la vita dell’albero è rendere più visibile la radice per diventare consapevoli che da lì tutto proviene. Dalla cura continuativa delle radici dipenderà il futuro della pianta e l’abbondanza dei suoi frutti.
Un sacerdote, prima di essere definito da qualche occupazione pastorale, è un testimone per il suo tempo che a Dio interessa il mondo e che ci sono al mondo persone il cui interesse principale è Dio. Questo è un segno che può provocare. A nessun uomo di buon senso e con possibilità medie di successo professionale e sociale, infatti, verrebbe in mente di non farsi una sua famiglia e rinunciare a una carriera o a ruoli in evi- denza, solo perché si è lasciato incantare da un’ideologia religiosa o da un’etica umanitaria. I suoi affetti e la sua passione per la vita protesterebbero. Chi accetta di testimoniare il primato del Vangelo e della sua pro- posta lo fa a causa dell’incontro con la Persona vivente del Cristo, che è diventato il vero tesoro della sua vita.
Questa liturgia esequiale con al centro il Signore, autore e ispiratore di ogni particella di bene che don Anto- nio ha potuto compiere, provoca ciascuno di noi, credente o cercatore di senso, a non sottrarsi al compito essenziale di inseguire il suo desiderio di infinito e cercare il suo tesoro, perché dov’è il tuo tesoro là sa- ranno anche il tuo cuore, la tua operosità, la tua fecondità.