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MAGISTERO DEL VESCOVO

​Santa Chiara e il “gioco degli specchi”

​Omelia del vescovo Marco nella festa di santa Chiara d’Assisi

REDAZIONE

12 Agosto 2023

Chiara d’Assisi interpretava il suo rapporto con Gesù attraverso l’immagine dello “specchio” e degli “specchi”. Di primo acchito, l’azione di guardarsi allo specchio parrebbe la meno adeguata per descrivere la santità. La ricerca di un rispecchiamento della propria immagine fa pensare spontaneamente alla vanità, al bisogno di assecondare un impulso narcisistico. Non a caso si parla del “peccato dello specchio”. Nell’esperienza di Chiara l’azione del rispecchiamento si rovescia. Lo specchio di Chiara è Gesù. Lei si “specchia” in Gesù.

Come dice san Paolo, noi riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore (cfr. 2 Cor 3,18), la stessa gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo risplende nel cuore dei battezzati (cfr. 2Cor 4,6). Nelle lettere ad Agnese di Praga, Chiara invita le sorelle a guardare a Gesù come ad uno specchio che, nella sua umanità, riflette la divinità. Scrive: “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, (Gesù); e trasformati interamente nell’immagine della divinità di Lui” (FF 2888). Chiara insegna alle sorelle a portare ogni giorno la loro anima in questo specchio e a scrutare in esso continuamente il loro volto per adornarsi di tutte le virtù di Cristo. Gesù è il volto vero di Dio: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9); Gesù è il volto vero dell’uomo: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5).

Tenere fisso lo sguardo su Gesù (Eb 12,2) significa essere raggiunti dal suo raggio di azione che si imprime nell’uomo interiore ed esteriore di chi lo contempla e ne esce trasformato. Contemplare significa prendere gradualmente la forma di Cristo, sposo dell’anima. Specchiarsi in lui comporta, anzitutto, il movimento passivo dell’adorazione che è come un tempo sospeso in cui ci si lascia amare da Gesù, ci si lascia guardare dai suoi occhi, si zittiscono tutte le voci e le suggestioni esteriori, tutto si riduce nella semplicità di un “faccia a faccia”. Ma l’amore non è mai pura passività e sente il bisogno di esprimersi nel movimento attivo del discepolato e dell’imitazione, come recita il Prefazio della Messa:

Tu hai ispirato a santa Chiara di seguire fedelmente, sull’esempio di san Francesco, le orme del tuo Figlio, sposandola a lui misticamente con vincolo di perenne fedeltà e amore” (Messale Serafico).

Chi tiene fissi gli occhi su Gesù viene trasformato nella sua stessa immagine, diventa il Gesù dello specchio e, una volta divenuto tale, diventa specchio per i fratelli e le sorelle. Si crea una sorta di gioco degli specchi, come si legge in un bel commento di Chiara Lubich quando parla del movimento francescano come di una catena ininterrotta di specchi da Gesù al mondo:

Gesù è lo specchio di Francesco.

Gesù e Francesco sono lo specchio in cui Chiara si rispecchia.

Gesù, Francesco e Chiara sono lo specchio di Agnese.

Gesù, Francesco, Chiara ed Agnese sono lo specchio per le prime sorelle, che a loro volta diventano specchio per quelle future.

Le sorelle future, guardando alle prime sorelle, diventano specchio per coloro che vivono nel mondo.

Coloro che vivono nel mondo diventano specchio di Gesù per tutti.

E così, riflettendo perfettamente Cristo, Francesco e Chiara, i primi frati e le prime sorelle, hanno dato origine al Movimento francescano: una di quelle realtà ecclesiali che, di tempo in tempo, riportano il Vangelo nella sua radicalità nella Chiesa, per farla rinascere, per rinnovarla, per riformarla.

La catena del rispecchiamento si prolunga nella vita di ciascuno di noi: siamo un altro Gesù per gli altri. Prima di inquinare il dono con la domanda su quanto siamo coerenti a questo compito, godiamo intimamente del privilegio di questa vocazione: Gesù ha fatto di tutti noi specchi suoi e del Vangelo, perché molti possano specchiarvisi. Siamo preoccupati di dimostrare le nostre convinzioni e i nostri principi agli altri, ma dovremmo anzitutto diventare consapevoli del potere che ci è dato di mostrare a quanti condividono con noi la vita di tutti i giorni qualche scheggia della gloria di Dio che abita gli spazi umani.

Scegliendo di fissare lo sguardo su Gesù e di nulla anteporre all’amore per lui, i cristiani diventano immagine di una Chiesa sposa di Cristo, bella e senza macchia. Di Chiara, è scritto nella bolla della sua canonizzazione, che più si nascondeva e rimaneva nell’ombra, più la sua vita era nota a molti, rivelata a quanti si rispecchiavano in lei. La testimonianza dei santi non rimane nascosta; è discreta, persino invisibile, ma mai irrilevante. È fonte di attrazione alla verità di Dio e dell’uomo. Il potere spirituale dei santi trasforma la società più di ogni potere mondano. Diventano le presenze più necessarie e i più grandi benefattori. Vogliamo trasformare il mondo? Permettiamogli di intravedere Cristo attraverso i suoi specchi che siamo noi. Certamente la Chiesa non è uno specchio del tutto pulito e trasparente, troppo spesso rispecchia il mondo e porta le macchie della mondanità. È una chiesa santa e sempre bisognosa di purificazione.

Nella festa di santa Chiara vorrei attirare l’attenzione su due rispecchiamenti del suo carisma di santità: l’innamoramento e la determinazione.

L’innamoramento per Cristo si esprime in una tensione unitiva sempre più ardente e onnipervasiva:

Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai (…) per tutta l’eternità e per tutti i secoli, la gloria del regno celeste (…); parteciperai dei beni eterni, (…) e vivrai per tutti i secoli (FF 2880).

Una Chiesa non innamorata del Signore perde il gusto della preghiera, del primato di Dio, del cammino della fede, si ammala di chiusura e di comodità; preoccupata di essere il centro, diventa ossessionata delle sue sicurezze organizzative e s’impigrisce nell’azione missionaria. A una “sposa” tutta presa dalle sue faccende, lo Sposo divino rimprovera di aver perso l’amore degli inizi, come si legge nell’Apocalisse a riguardo della chiesa di Efeso:

Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza e che non puoi sopportare i malvagi; hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. Hai costanza, hai sopportato molte cose per amore del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore (Ap 2,2-4).

Una Chiesa povera di amore è povera di Gesù, diventa uno specchio autoreferenziale e poco sacramentale, mentre la Chiesa è il segno e lo strumento della presenza e dell’azione di Cristo nel mondo.

La lettura del profeta Osea ci riporta al cuore del rapporto di amore sponsale tra Dio e il popolo. È un amore intenso e drammatico al contempo. Il cuore del popolo facilmente si lascia ammaliare dagli idoli e si dibatte nell’alternativa continua tra la fedeltà a Dio (lo sposo conosciuto nell’esodo) e la prostituzione agli idoli.

Dio parla come un innamorato. Si rivolge a un popolo che ha dimenticato il primo amore. La conduce nuovamente nel deserto (dove non ci sono altre presenze) e “parla al suo cuore”. L’allusione è al battito del cuore che i due innamorati sentono quando sono uniti corpo a corpo, cuore a cuore. I cuori si parlano non con il linguaggio delle parole ma con quello dell’intimità fisica. Dio promette questo a Israele. Ha ancora una riserva di amore per riconquistare il popolo che si è scelto. E investe con decisione il suo amore sponsale, con parole che toccano il cuore. Quasi una “divina seduzione” per accendere nuovamente l’amore: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa, nella giustizia e nel diritto…. Ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”.

Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia è rinnovata l’Alleanza d’amore sigillata con il Sangue dello Sposo sul Calvario. Troppo spesso guardiamo e celebriamo la liturgia in maniera superficiale, la commentiamo in base alla resa esteriore della cerimonia e così diventa lo specchio autoreferenziale dei celebranti piuttosto che lo specchio in cui lo Sposo trafitto e risorto riflette la sua gloria. Cos’è l’Eucaristia se non il donarsi dello Sposo alla Sposa? È il corpo-a-corpo che ci nutre, ci trasforma in colui che riceviamo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Mangiamo il corpo di Gesù e diventiamo suo corpo.

Il secondo rispecchiamento della santità di Chiara d’Assisi su cui ci soffermiamo è la determinazione di questa giovane donna e la sua resistenza nelle prove che la vita le ha riservato.

Fin da giovanissima si rivela una donna intrepida e determinata. Aveva appena dodici anni quando Francesco compì davanti al vescovo Guido il gesto di spogliarsi di tutti i vestiti per restituirli al padre Bernardone. Conquistata dall’esempio visto in Francesco, la giovane Chiara, sette anni dopo, lo raggiunge alla Porziuncola e, pur di realizzare il suo sogno di vita evangelica, affrontò l’intera famiglia che la contrastava. Più tardi affronterà con tenacia il Papa stesso per difendere l’ideale di povertà ed il suo legame con i frati minori, senza mancare di rispetto e amore verso la Chiesa, di cui si sentiva figlia. Chiara fu la prima donna a scrivere una Regola di vita religiosa per donne, in un’epoca in cui, le fonti legislative per i monasteri femminili erano ancora redatte da uomini. Con la sua ferma determinazione, otterrà l’approvazione della Regola da papa Innocenzo IV due giorni prima della sua morte l’11 agosto 1253.

La santa di Assisi è stata una donna forte nel sostenere le molte prove che la sequela di Gesù le ha riservato. Realmente si è rispecchiata in Gesù debole e abbandonato sulla Croce. La via dei cristiani non è un percorso placido e spensierato che conduce al porto senza tribolazioni. La parola di Paolo è chiara al riguardo: “abbiamo questo tesoro in vasi di creta”. L’apostolo avverte nel suo corpo la forza redentrice della pasqua di Gesù, che è insieme morte e vita. È una forza attiva che sente operare in sé e vede manifestarsi agli occhi di chi lo guarda. La testimonianza del Vangelo espone i credenti a molte prove: “Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi”. Il percorso della santità di Chiara è un intreccio a doppio filo di morte e vita. Le prove era per lei pane quotidiano: la malattia per ventinove anni su quarantadue anni trascorsi a San Damiano; l’attacco dei Saraceni il 22 giugno 1241; la gestione non facile dei rapporti interni alla famiglia francescana dopo la scomparsa di san Francesco. La fede rende determinato chi è innamorato e Chiara non si è spezzata davanti alla sofferenza, alle fatiche, alla violenza. Specchiandosi nello Sposo crocifisso ha trovato la forza per diventare ella stessa lo specchio che offriva conforto e sostegno alle sue sorelle e le confermava in una nuova possibilità per la donna di quel tempo, il cui destino non sarebbe stato più segnato dal matrimonio combinato, ma da una vita monastica e fraterna che rappresentava una via alternativa a quella codificata dalla cultura medievale.

La liturgia ci offre il magistero dei santi come modelli e amici in cui rispecchiarci. Celebrare le feste dei santi significa onorarli, conoscerli, contemplarli, imitarli per quanto d’importante accomuna tutti i credenti in Cristo (attuali e potenziali): l’universale chiamata alla santità.

Anche la vita consacrata delle sorelle clarisse, che si sono volontariamente nascoste nell’amore di Cristo per amarlo con cuore indiviso, è uno specchio che ricorda a tutti l’essenziale della santità racchiuso in un verbo ripetuto più volte nel brano del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato: il verbo “rimanere”.

Rimanete in me e io in voi: significa perseverare nella comunione con la Santa Trinità che dimora nei nostri cuori, custodire il ricordo di Dio, vivere le giornate alla sua presenza, sotto lo sguardo del Padre, invocando costantemente il Nome di Gesù e respirando lo Spirito Santo che anima la preghiera, la fede, l’amore fraterno.

Rimanete nella Parola: Dio ci parla ininterrottamente e, per coloro che sono attenti, tutto parla di Dio; se custodiamo la Parola, la Parola custodisce noi. E le parole del Vangelo ascoltate si trasformano in parole di preghiera efficaci: chiedete quel che volete e vi sarà dato.

Rimanete nell’amore: l’amore non è un’emozione epidermica e passeggera, è la stessa vita del Padre che si riversa su Gesù e attraverso lo Spirito è versata nei nostri cuori e circola tra noi così che possiamo amarci con l’amore stesso della Santa Trinità.

Il cristianesimo non è un’ideologia o una morale, è il nostro innesto vitale nel Cristo, Figlio del Padre che travasa in noi la linfa di vita eterna che è lo Spirito. Chi è con Gesù vive come Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, questi porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla».

L’arte ecclesiale della santità ci insegna a rimanere e rispecchiare Gesù, forgia uomini e donne innamorati e determinati.

“Era bella de faccia”: così attesta Messer Ranieri De Bernardo che, frequentando la casa della famiglia di Chiara, aveva colto la bellezza umana e spirituale di questa giovane donna, specchio pulito di Cristo.

Monastero delle Clarisse di San Silvestro, 11/08/2023

Lezionario biblico: Os 2,14-15.19-20; Salmo 44; 2Cor 4,6-10.16-18; Gv 15,4-10

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