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Educazione e formazione

Scuola cattolica: quale valore aggiunto?

Alcune riflessioni dalla Direzione degli Istituti Redentore

Patrizia Graziani

11 Novembre 2024

Nell’ incontro con la scuola del maggio 2014 Papa Francesco ha detto: «Amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L'educazione non può essere neutra: o è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla».

Queste parole del Santo Padre nella loro semplicità sono illuminanti e fanno accrescere la consapevolezza di quale grande responsabilità abbia il lavoro di ogni professionista della scuola. Anche il nostro vescovo in varie occasioni ci ha sollecitati a riflettere su quale sia il valore aggiunto della scuola cattolica.

Come realizzare l’educazione al vero, al bene, al bello, cioè quell’educazione che arricchisce? Qual è il quid che identifica le scuole cattoliche?

Il mandato sociale affidato alla Scuola del XXI secolo include almeno due missioni: la prima è essere rivolta “a tutti e a ciascuno”, quindi in grado di sviluppare non solo i talenti migliori, ma anche i soggetti più fragili. È l’obiettivo dell’inclusione sociale previsto dalla Costituzione italiana. Il secondo mandato è non limitarsi più ad “istruire”, cioè ad insegnare discipline, ma anche garantire l’acquisizione durevole delle competenze trasversali di literacy, numeracy e problem solving ed “educare”, cioè dare ragione dei valori di base della nostra civiltà e delle regole di comportamento indispensabili perché siano rispettati i diritti di ciascuno e diventi possibile una cittadinanza attiva e responsabile.

Mi sono anche chiesta, al di là dei disposti legislativi, in che cosa possa consistere la differenza tra l’offerta formativa in una buona scuola cattolica e quella in una buona scuola statale. Possiamo partire da alcune considerazioni sui docenti, attori dell’insegnamento stesso.

Un docente di scuola cattolica è, da una parte, chiamato a proporre i contenuti culturali e le attività educative che un determinato ordinamento e indirizzo di scuola deve offrire, dall’altra propone questi contenuti rifacendosi costantemente ad una filosofia cristiana dell’educazione, vale a dire ad una visione cristiana della persona, della vita e della realtà in genere, prestando particolare attenzione al valore della persona, all’educazione religiosa e all’insegnamento della religione, alla formazione della coscienza morale, alla ricerca di senso, alla questione della verità, all’apertura e all’educazione alla vita in un contesto socioculturale sempre più frammentario e disorientante, al punto che già lo stesso papa Benedetto XVI parlava di “emergenza educativa”. La qualità della scuola cattolica si misura essenzialmente in base alla sua capacità di essere un servizio autentico per l’alunno e alla sua capacità di costruire una comunità educante in cui possa crescere e consolidarsi la corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia, in una logica di continuità e condivisione.

Da tanti anni parliamo di pluralismo dell’offerta educativa: che significati e contenuti sono stati via via attribuiti a questo termine? Sono state sviluppate essenzialmente due accezioni del termine:

La prima concerne il pluralismo negli orientamenti valoriali, che siano di natura religiosa o etico-filosofica. È sempre più manifesta la necessità di coniugare quelli che sono gli obiettivi strategici degli Stati nazionali, come la ricerca del cosiddetto bene comune, della coesione sociale, dell’equità nell’accesso ai beni ed alle opportunità, della promozione della mobilità sociale, con quelle che sono le preferenze e le convinzioni delle famiglie rispetto all’educazione dei figli. L’obiettivo finale è quello di favorire la formazione di personalità libere e responsabili, in possesso dei valori della polis, ma anche di quelli individuali: persone cioè dotate delle competenze chiave indicate dalla, UE e soprattutto di spirito critico. Il secondo significato si riferisce invece al pluralismo nei metodi e negli strumenti pedagogici: da quelli più tradizionali (la scuola dei Gesuiti) a quelli più recenti (deweyani, montessoriani, steineriani e altri), fino ai nuovi orizzonti ancora inesplorati che si aprono con l’utilizzo di nuove tecnologie (scuola digitale, ecc.). Questa esigenza nasce dal nuovo contesto, in cui nelle scuole convivono intelligenze e bisogni diversi, che non possono essere trattati secondo criteri di uniformità. La gestione dei tempi, l’utilizzo degli spazi, la successione degli obiettivi devono essere flessibili, per adeguarsi alla molteplicità dei bisogni a cui devono offrire risposta. La scuola cattolica ha dato prova di sapersi e potersi adattare in modo più snello e performante ai cambiamenti e alle richieste della società, del territorio e dell’utenza.

La sfida dell’oggi alle istituzioni educative deve trovare la Scuola Cattolica decisa ad offrire il proprio contributo: è necessario rinvigorire il proprio operato e adeguare la propria proposta anzitutto alle necessità educative del territorio e delle famiglie.

L’idea stessa del valore del pluralismo ha stentato a farsi strada, anche per ragioni sociali e storiche, in quanto ci sono sempre state altre indiscusse priorità, come ad esempio la creazione di una identità nazionale o la lotta contro l’analfabetismo di massa. Tuttavia, anche quando l’emergenza dell’istruzione di base è stata superata, sono rimaste le diffidenze verso altri “fornitori” di scuola, diversi dallo Stato. Il significato sociale e culturale deve essere quello di offrire un’opportunità per garantire la libertà di scelta educativa alle famiglie, superando l’ostacolo economico.

La vera questione è che in Italia dal periodo del fascismo in poi è prevalsa l’idea che lo Stato, in quanto super partes, sia il custode più attendibile della neutralità educativa rispetto a qualunque soggetto privato. È naturale allora chiedersi se neutralità sia sinonimo di pluralismo o di libertà. Ovviamente non lo è. Di più, come ho ricordato all’inizio, anche Papa Francesco ha affermato che la neutralità stessa, in ambito educativo, non è possibile o, forse peggio, diventa un alibi per l’irrilevanza della funzione formativa. Poiché nell’età della formazione gli adolescenti sono comunque alla ricerca di un’identità da costruire e riempire di senso, l’eventuale astensione della scuola da questo compito finisce con l’aprire la strada alle incursioni degli interessi esterni più vari. Il vuoto in educazione viene sempre riempito da qualcuno e quasi mai con esiti positivi. L’istruzione, infatti, come la salute, non è un semplice servizio, bensì un “bene” costituzionale, che gli Stati tutelano con rilevanti risorse.

Operiamo in uno scenario dove, se da un canto è ben nota la situazione in tema di libertà di scelta educativa, altrettanto sempre più richiamata e crescente è l’istanza di rifondare una convivenza civile, pacifica e rispettosa dei singoli e dei gruppi.

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