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Bene comune

Votare ai referendum: occasione di democrazia

È fondamentale esprimere il proprio voto, per non abdicare al proprio ruolo di cittadini

Roberto Melli

26 Maggio 2025

Una riflessione a cura dell'Equipe "Giustizia sociale, Lavoro e Cittadinanza" del Tavolo del Bene Comune.

I prossimi 8 e 9 giugno gli italiani sono chiamati ad esprimere il loro parere su una serie di quesiti referendari riguardanti aspetti concernenti il mondo del lavoro (4 domande relative a sicurezza, licenziamenti, contratti a termine ed appalti) e la riduzione da 10 a 5 anni per l’ottenimento della cittadinanza italiana, ma questa informazione fatica a trovare spazi adeguati a livello nazionale, per cui, ancora oggi, una parte considerevole di italiani non ha alcuna consapevolezza di questa tornata referendaria, o se ce l’ha è decisamente scarsa.

Tale forma di disinformazione non può che avere un unico risultato: veder disertare i seggi in massa. Questa disaffezione dal voto, d’altronde, non è certo notizia sconvolgente, se calcoliamo che alle ultime europee ha votato meno del 50% degli aventi diritto, e che alle politiche del 2022 si è registrata l’affluenza più bassa tra tutte le elezioni dei Paesi dell’Unione, con il 64%. È vero, come ha giustamente scritto Carlo Verdelli sul Corriere della Sera venerdì 16 maggio che «La libertà di voto è un diritto così fondamentale e così esteso che contempla anche il suo contrario: il diritto a non votare, con tutte le conseguenze caso per caso». La stessa carta costituzionale parla di dovere civico e non di obbligo al voto (art. 48). L’astensione quindi risulta pienamente legittima, ma crediamo che l’eventuale, e magari ampio, flop partecipativo a questi referendum segnerebbe un ulteriore e grave segnale di allontanamento complessivo dei cittadini dalla vita politica attiva del nostro Paese.

Un sistema democratico ha senso solo se si regge sulle gambe di tutti i cittadini, la delega in bianco alle forze politiche (di qualunque schieramento facciano parte) significherebbe abdicare a quel principio di sovranità popolare che quando viene correttamente inteso è il sale stesso che dà gusto alla democrazia, cioè alla convivenza civile e al pluralismo di idee.

Come rappresentanti diocesani del Tavolo per il Bene comune abbiamo pertanto deciso di far discutere i quesiti referendari non tanto ai rappresentanti dei partiti, quanto piuttosto agli esponenti di quelli che tecnicamente vengono chiamati “corpi intermedi” (come sindacati e associazioni sia di categoria che del terzo settore), che si sono confrontati lo scorso 13 maggio al Centro pastorale diocesano; si sono rese disponibili all’incontro CGIL, CISL, API, ACLI.

Si è parlato e ci si è confrontati nel reciproco rispetto delle posizioni di ciascuno, evitando la radicalizzazione dello scontro, nel quale ogni parte vuole avere l’esclusiva della ragione (quella che oggi possiamo chiamare la “tribalizzazione” della politica). In secondo luogo, chiamati in causa sono stati soprattutto i giovani, che però per essere coinvolti attivamente devono venire entusiasmati (oltreché ascoltati) da chi oggi gestisce la cosa pubblica, e questo può essere svolto solo attraverso la capillare azione di quelle forze associative (specie del volontariato nelle sue varie declinazioni) nelle quali i giovani trovano il senso del loro impegno molto più che nell’attività politica diretta.

Non tutte le realtà partecipanti si sono espresse a favore o contro i vari quesiti - unica è stata la CGIL, che ha proposto i 4 quesiti sul lavoro - ma tutti hanno insistito sull’importanza della partecipazione al voto; ed è proprio su questo che noi organizzatori puntavamo, convinti che più ancora che la posizione pro o contro sia importante la partecipazione, come segnale in controtendenza rispetto ad una deriva dalla vita pubblica.

Scrive, con saggezza, sempre Carlo Verdelli: «La deriva è specchio di una sfiducia nella possibilità che il proprio voto abbia un qualche effetto rispetto ai cambiamenti ritenuti indispensabili. E allora sto a casa, come sbrigativamente mi consigliano. Ecco, l’8 e il 9 giugno rischia di succedere un’altra volta proprio questo: un invito ulteriore a lasciar fare a chi se ne intende, a non preoccuparsi di cose cha vanno gestite in altro modo e in altri luoghi. È una discesa a balzi verso una democrazia prosciugata della sua linfa vitale, cioè la partecipazione attiva, tornare a votare, disturbare il manovratore ogni volta che lo si ritenga necessario».

Crediamo importante invece un’inversione di tendenza, e proprio questi referendum ci possono dare l’occasione di riprendere in mano, almeno per quanto ci è consegnato dalla Costituzione, le redini della cosa pubblica. L’invito che quindi facciamo è di andare a votare, magari esprimendo 5 “No” sulle schede, ma questo sarebbe già un grande successo per la democrazia.

(Seguirà, nei prossimi giorni, un'analisi più specifica sui 5 quesiti referendari).

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