Missionari mantovani

Sarzi Sartori Daniele p. Francesco

132/ A Indang Road, Barangay Luciano, Trece Martires, Philippines

Nato a Casalmaggiore (CR) nel 1969

Missionari della Carità - Fratelli di Madre Teresa
Filippine, diocesi di Cavite

Sono cresciuto nella parrocchia di Montanara dove vive tuttora la mia famiglia. 
Ho iniziato il cammino missionario a 29 anni, dopo aver nutrito fin da bambino il sogno della diplomazia.... ma fra i meandri delle ‘missioni di pace’ diplomatiche e grazie a tante luci del Vangelo che il Signore mi ha posto accanto, ho scoperto per grazia Sua, la perla di gran valore. 

Entrato nella Famiglia missionaria dei Missionari Saveriani, dopo l’ordinazione presbiterale nel 2006 sono stato inviato in missione in Giappone dove ho vissuto per 7 anni e dove ho conosciuto i Fratelli di Madre Teresa, con i quali ho proseguito il cammino iniziato con i Saveriani.  

Stare quotidianamente a contatto con i più piccoli del vangelo ha fatto riaffiorare con forza l’invito a cercare proprio lì il Risorto, nelle pieghe e nelle piaghe del vivere e dell’uomo, come un giorno cercò e salvò anche me, in quello che fu il momento sorgivo della mia vocazione.  E cosi poter vivere la grazia e la gioia della missione, è il precipitarsi di Dio su di noi, che viene, che fa tutto, che grida, che è sangue sulla croce, che è Spirito di fuoco. Guarisce, riconcilia, sana e salva. Fa nuove tutte le cose.  E poi prende noi che siamo poveri e ci fa diventare poveri amati. E cambia tutto.

Dopo il Giappone ho trascorso un anno a Calcutta e poi 5 anni nelle Filippine, dedicandomi in particolare all’accoglienza di bimbi abbandonati e disabili, in carcere e fra le smokey mountain della periferia di Manila. In tutti questi anni coi miei fratelli ho potuto toccare con mano la carne e lo Spirito di Gesù, in quel suo ostensorio che sono i “più poveri dei poveri” come li chiamava Madre Teresa: i senza dimora, i tossicodipendenti, i bambini o gli adulti con disabilità fisico-mentali, gli abbandonati e gli emarginati, le persone in fin di vita, i malati di lebbra o di HIV, i detenuti e tutti coloro il cui grido di dolore e di solitudine e la cui sete di salvezza ne rende particolarmente cara al Signore la sorte.

 Negli ultimi due anni i miei confratelli mi stanno consentendo di occuparmi della mia famiglia con difficoltà di salute e sto vivendo la missione in questo piccolo anfratto che sono le mie radici, la mia terra. In qualche modo mi sento un po’ in esilio, o un senza terra... ma non c’è terra in cui non possiamo essere missionari, perché sono sempre più io la terra che il Signore vuole evangelizzare. E dunque anche questo esilio momentaneo, la nostra terra, è una grande grazia, è una scuola per me. 
La missione infatti insegna a cercare di restituire un dono, il dono di essere amati e cercare di cogliere finalmente nella vita un’occasione per donarla.
Chiedo con tutti voi al Padre di liberare il cuore dalla paura di abbandonarsi alle Sue mani che mentre ci cingono nell’abbraccio ci invitano a dire soltanto ”Quello che vuoi Tu, Padre” e arrivati a quel nome mai abbastanza amato, “Padre”, ricominciare a imparare ogni giorno a pregarlo, sulle ginocchia della vita, nella gioia, nelle spine, nel Sacramento che sono i fratelli e nelle ferite e nella fame dei poveri che sono il nostro pane quotidiano e che benediciamo per poterlo sempre di più, grazie a loro, dire “Nostro”.