Castel Goffredo 27.09.1930 - Namugongo (Uganda) 31.07.2004
Missionario Comboniano
Giuseppe era il secondo di tre fratelli. Quando all’età di appena due anni rimase orfano del papà Rinaldo, la mamma Chiara venne aiutata dalla famiglia a crescere i tre figli. Giuseppe crebbe buono e sempre piuttosto riservato. Ancora prima di ricevere la Prima Comunione era chierichetto della parrocchia di S. Erasmo. Padre Valente scrive: “La vocazione missionaria è sorta nel mio cuore il giorno in cui il mio compaesano P. Santo Pizzocolo celebrò in paese la prima Messa. Anzi, fu proprio P. Pizzocolo a ‘reclutarmi’, allorché, chierichetto di 12 anni, servivo all’altare. D’accordo con la mamma e con il parroco, mi fece entrare nella scuola apostolica dei Comboniani di Padova. Questo momento di grazia era stato preparato da una serie di letture missionarie alle quali mi dedicavo con vera passione, in special modo il Piccolo Missionario”.
Dopo le medie a Padova, Giuseppe si trasferì a Brescia per il ginnasio e nel 1948 andò a Gozzano (NO) per il noviziato. Dopo un anno i superiori lo mandarono in Inghilterra, sia per concludere il noviziato e sia per imparare la lingua. Il 9 settembre 1956 emise la professione religiosa pronunciando i voti che lo consacrarono missionario. Fu ordinato sacerdote a Milano il 15 giugno 1957.
Dopo due anni di insegnamento ai novizi di Firenze, venne inviato nel Sudan meridionale come insegnante nel seminario. Oltre all’assistenza ai catecumeni che si preparavano al battesimo, periodicamente si dedicava alle visite ai villaggi dove incontrava gli anziani e i malati ai quali distribuiva medicine, coperte e vestiario.
Nel 1955 era iniziata la guerra tra i Neri del sud contro gli Arabi del nord. Nel 1956 il Sudan raggiunse l’indipendenza dall’Inghilterra. Nel 1964 tutti i missionari e le suore furono espulsi nel giro di 24 ore. P. Valente era con loro. Molte fiorenti missioni furono requisite dai soldati, altre andarono in rovina.
P. Valente venne inviato in Canada (1964-1970) nella parrocchia di San Jean de Quebec. Il suo carattere calmo, gentile, sempre accogliente e paziente apparve subito come una qualità importante per la formazione. Così i superiori lo mandarono negli Stati Uniti, come padre maestro dei novizi (1966-1970). Qui cercò di adeguare le aperture del Concilio Vaticano II alle nuove esigenze dei giovani che aspiravano alla vita missionaria. Questi furono anni difficili, impegnativi e che procurarono a P. Valente non poca sofferenza. Ma egli seppe sempre accogliere il nuovo senza rigettare totalmente i valori che venivano dalla tradizione antica.
Dal 1971 al 1974 venne inviato ad insegnare in Scozia e poi in Inghilterra dove si diplomò in scienze psico-pedagogiche.
Intanto il desiderio di tornare in Africa si faceva sempre più sentire nel cuore di p. Valente che nel 1975 finalmente poté partire per l’Uganda, a Namugongo a circa 10 chilometri da Kampala, come vice padre maestro dei novizi. Lì, nel 1886 furono bruciati vivi la maggior parte dei martiri ugandesi. Il noviziato, raccoglie giovani dalle varie parti dell’Africa anglofona, del Sud Africa e del Sudan. Il lavoro, molto delicato, di P. Valente consisteva nell’aiutare i giovani ad una mutua accettazione nello spirito del Vangelo superando il tribalismo che tanti danni ha prodotto e produce all’Africa. Scrisse a questo proposito P. Valente: “Siamo chiamati a vivere come fratelli che si accettano dal profondo del cuore per amore di Cristo e della comune chiamata al carisma missionario di Comboni che voleva che i suoi missionari vivessero come cenacolo di apostoli. Tra i novizi possono sorgere dei conflitti per diversità di cultura, mentalità e carattere. Aiutandoli, cerchiamo di portarli ad integrarsi nella comunità e ad allargare il loro cuore a tutti attraverso la pazienza, la tolleranza e il perdono”.
Oltre che formatore dei futuri missionari africani, P. Valente ha dedicato una buona parte del suo tempo ai ragazzi di strada: “Nella mia piccola esperienza tra i ragazzi di strada di Kampala, che condivido abbondantemente con i nostri novizi Comboniani africani, dispongo anche di un modesto fondo per le necessità più urgenti (alloggio, cibo, indumenti, medicine) grazie ai benefattori italiani. Ma si sente più urgente il bisogno di offrire a questi poveri ragazzi, figli di nessuno, che aumentano a dismisura in tutte le metropoli del Terzo Mondo, delle persone capaci di dedicarsi a loro con vera dedizione e disinteresse, capaci di amarli davvero e così educarli all’amore, alla stima di sé, all’autocontrollo. Queste persone non sono facili a trovarsi in una città come Kampala dove chi è fortunato da avere una buona educazione e un buon lavoro generalmente pensa solo a sé stesso. Persone di questo genere, laggiù, sono difficili da trovarsi anche tra il clero, i religiosi e i missionari. Questi ultimi perché preferiscono in genere vivere lontano dalle grandi città, tra i boschi e in villaggi sperduti dove mancano del tutto i sacerdoti anche per la prima evangelizzazione. Mentre le zone rurali si vanno spopolando, le periferie delle città continuano ad espandersi con i problemi che un urbanesimo forzato produce”. In questo suo lavoro P. Valente si faceva aiutare dalle suore ugandesi che, pur poverissime e prive di mezzi, accoglievano i ragazzi che egli portava loro, magari sottraendoli al carcere, tentando di offrire loro un’istruzione, un po’ di cibo e un vestito.
La giornata terrena di P. Valente si è conclusa improvvisamente e in modo inaspettato durante la notte del 31 luglio 2004. Ora P. Valente riposa in quella terra di Uganda quale seme fecondo di evangelizzazione e di promozione umana, cose per le quali ha impegnato la sua vita.
P. Valente era un uomo profondamente spirituale e, nello stesso tempo, molto umano, legato da affetto alle persone a cui prestava servizio. La vita di P. Valente può essere riassunta da una delle sue frasi incisive, ricche di saggezza e spiritualità, pronunciata negli ultimi giorni: “God’s will is God’s love”, nella volontà di Dio consiste l’amore di Dio. Questa frase davvero sintetizza tutta la vita di questo confratello, che ci ha lasciato un esempio vissuto delle beatitudini.
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