Vita diocesana
Un anno di sperimentazione per capire come lo spazio può essere sempre meglio al servizio della liturgia
19 Dicembre 2024
Domenica 1 dicembre 2024, inizio del Tempo di Avvento, la cattedrale di Mantova ha accolto i fedeli con una veste rinnovata, frutto della proposta di adeguamento liturgico che la Diocesi di Mantova intende sperimentare nel corso del prossimo anno, illustrata la scorsa estate e presentata a settembre nel corso della Settimana della Chiesa mantovana.
In questa pagina sono pubblicati alcuni materiali utili per una migliore comprensione dell'intervento.
Nella sua omelia di domenica 1 dicembre 2024 il vescovo Marco ha fornito un'esaustiva panoramica degli interventi previsti e del loro significato. I passaggi più significativi sono stati riassunti in un pieghevole, che è stato messo a disposizione anche all'interno della cattedrale stessa, in formato a stampa.
«È l’assemblea celebrante che “genera” e “plasma” l’architettura della chiesa. Chi si raduna nella chiesa è la Chiesa – popolo di Dio sacerdotale, regale e profetico – che proietta, imprime sé stessa nell’edificio di culto e vi ritrova tracce significative della propria fede, della propria identità, della propria storia e anticipazioni del proprio futuro» (Cei, L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, 11).
L’organizzazione dello spazio sacro riflette e manifesta l’immagine che la Chiesa ha di sé stessa e, per questo, siamo chiamati a porci alla scuola del Concilio Vaticano II, che raccomanda la «piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche» da parte dei fedeli (Sacrosanctum Conclium, 14). L’adeguamento liturgico delle chiese, quindi, è parte integrante della riforma liturgica conciliare, che invita a «conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via a un legittimo progresso» (SC 23). In tale prospettiva, la sperimentazione pastorale del nuovo adeguamento della Cattedrale ci chiede la disponibilità a entrare in un processo trasformativo, in cui il nostro oggi è contemporaneamente connesso con il passato – la storia dell’edificio attraverso i numerosi passaggi che dalla costruzione medievale lo hanno condotto all’assetto attuale e quella della comunità che lo ha vissuto nei secoli – e con il futuro, verso quel rinnovamento delle forme ecclesiali e liturgiche che il Vaticano II auspica quale avvio di una profonda rigenerazione ecclesiale.
Quello che inizia è un tempo di sperimentazione – personale e comunitaria – per comprendere come abitare e vivere la celebrazione, per partecipare in modo fruttuoso al rito, in ragione del sentire, del vedere e del pregare comune. Partecipare attivamente alla liturgia significa “stare dentro” al gesto liturgico che si compie, vivendolo per quello che è, manifesta e realizza, sintonizzandosi con i riti e le preghiere che coinvolgono tutti i membri dell’assemblea. Celebrare significa apprendere i linguaggi del “noi liturgico” nelle orazioni, nei gesti, nei canti e nei movimenti. La liturgia è la preghiera di un corpo che unito a Cristo, suo capo, entra nell’inno di lode che Gesù fa salire al Padre. Essa è fonte e culmine della vita cristiana e dell’azione della Chiesa, in quanto ci attira verso il Signore, creando lo “spazio sacro” e generando “punti di comunione” con lui e tra noi (cfr. SC 10).
L’adeguamento liturgico sperimentale offre l’apertura e l’ariosità dello spazio che, alla prima impressione, può anche lasciare la sensazione di un “vuoto”. I riti cristiani devono farci “andare oltre”, aprendoci a un’eccedenza, a un inedito, consentendoci di varcare la soglia della fede. Pregare significa lasciare uno spazio aperto, non occupato da noi stessi, dalle nostre attività e dai nostri bisogni, ma libero per l’affacciarsi del Signore. Al centro della Chiesa non si pongono le nostre attività, ma il suo venire: nessuno può rimpiazzare lo spazio riservato al Signore e al suo incontro con la comunità dei discepoli. Nella liturgia ci “dis-occupiamo” da ogni altra attività per ritrovare lo spazio vuoto per l’affacciarsi del Signore.
L’adeguamento liturgico sperimentale ci stimola anche a compiere dei movimenti con il nostro corpo per orientarci verso il Signore che viene – tramite la mediazione dei riti e delle preghiere – nelle due parti fondamentali della Messa: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica.
Il Signore Gesù viene, qui e ora, attraverso la Parola proclamata e celebrata. É Gesù stesso che parla quando la Chiesa proclama le Scritture all’interno della liturgia. Nelle liturgie domenicali e festive la Scrittura sarà proclamata dall’ambone, che vede il recupero dell’antico pulpito posto al centro della navata. Quindi, alzeremo il capo per ascoltarla, in quanto la Parola viene dall’alto, dono di Dio che ci parla e ci risolleva dall’angoscia e dalla paura, consentendoci di guardare e valutare le cose della vita e della storia da una prospettiva rinnovata.
La Parola sacramentale scalda il cuore e apre gli occhi per riconoscere il Signore sotto le specie del Pane e del Vino eucaristici, segni supremi del suo amore. Per questo, l’altare rappresenta il “centro verso cui nelle nostre chiese converge l’attenzione” (cfr. Ordinamento generale del Messale Romano, n. 299; Rito della dedicazione di un altare, Premesse, nn. 155, 159), verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea: «Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa» (Rito della dedicazione di un altare, n. 213, Prefazio). Tutti siamo esposti in direzione di questo centro attrattivo, verso un pane comune. E, pur essendo molti, siamo trasformati in un unico corpo: nutrendoci del corpo eucaristico diventiamo il corpo comunitario di Gesù, un corpo di fratelli e sorelle riconciliati nella carità divina.
L’altare è piccolo perché, a differenza del grande altare del tempio di Gerusalemme, ora vi è un unico sacrificio – quello di Gesù Crocifisso e Risorto – e vi è un unico Sommo sacerdote, Cristo stesso presente sull’altare del cielo e sui molti altari della terra, che agisce per mezzo dei ministri ordinati. La mensa è quadrata, con lati di uguale misura, a manifestare un Padre d’amore che realizza la sua giustizia convocando l’intera umanità, proveniente dai quattro punti cardinali, senza differenze e discriminazione, per donare a tutti come nutrimento la carne e il sangue del suo Figlio. La centralità dell’altare, mensa sacrificale, ci ricorda che tutti i battezzati partecipano del sacerdozio di Cristo e, dunque, “tutti celebrano, uno presiede”. Tutti sono sacerdoti e concorrono a offrire il sacrificio eucaristico, mentre alcuni battezzati partecipano del sacerdozio ministeriale e ripresentano Gesù in qualità di Figlio-mediatore della comunione con il Padre.
L’amore è la forma dell’agire di Dio e il fine di ogni liturgia. Nel nuovo assetto liturgico non vediamo più i fratelli di schiena, ma nei loro volti. Ponendoci accanto e di fronte, siamo sollecitati a consegnarci reciprocamente i nostri sguardi, riconoscendo nella presenza e nell’agire dell’assemblea la presenza e l’agire di Cristo in mezzo a noi. Il fratello e la sorella cessano di essere individui generici, di cui vediamo le spalle o a cui diamo le spalle, ma diventano il volto che ho di fronte e che mi corrisponde: «Chi vede il fratello vede il Signore», recita un antico apoftegma.
Infine, l’adeguamento liturgico sperimentale predispone una zona a forte carattere escatologico, deputata alla lode e al canto corale della Liturgia delle Ore. Vi si accede attraverso il cancello delle balaustre, confine tra la navata (che rappresenta la terra e la storia in cui ci troviamo) e l’abside, che è il seno del Padre, il cielo trinitario verso cui siamo orientati e camminiamo. “L’area celeste” è assai marcata, grazie alla raffigurazione della Santa Trinità con tutti i santi e all’urna, posta ai piedi dell’altare, che custodisce i segni mortali di Anselmo da Baggio, patrono della nostra diocesi. Il culto celebrato nella nostra Cattedrale, infatti, ci santifica per vivere nel tempo a lode e gloria della Trinità e ci prepara a godere per sempre della gloria divina insieme ai celebranti del cielo.
dall’omelia del vescovo Marco Busca nella prima domenica di Avvento - 1 dicembre 2024